Formiche. Sì, proprio formiche. É questa l'immagine che imprimo nella mia mente quando arrivo in via Fereggiano nella prima mattinata di sabato. Formiche, tante formiche, tantissime formiche. Mentre mi avvicino percorrendo a piedi l'ultimo tratto di corso Sardegna - per inciso...formiche anche lì - è a questo che penso. Intorno a me è tutto un brulicare di formiche in rigoroso disordine organizzato.
Formiche con la pala, con la scopa, con secchi, contenitori e quant'altro; chi intento a spostare un'automobile ormai inutilizzabile, chi a portar fuori inservibili suppellettili da negozi, garage e scantinati, chi a pulire tombini per far defluire acqua e fango dalle strade. La sensazione è quella di trovarsi in una zona danneggiata di un immenso formicaio. Formiche fino a poche ore prima totalmente prese dalle proprie occupazioni, convenute ora nel quartiere ferito per portare aiuto.
Per quante ore al giorno può lavorare una sola formica? Il conto è presto fatto. Ma decine, centinaia di formiche possono moltiplicare a dismisura l'ammontare di quelle ore. Ed è proprio quello che è successo in questi giorni.
Arrivi e lì per lì non sai dove andare, a chi chiedere, cosa fare, ma vieni presto risucchiato là dove c'è una necessità, un'urgenza, un lavoro.
Finisco a buttar fuori fango da un negozio.
Di fronte a me, intento nel medesimo esercizio di pala, c'è un ragazzo che indossa una pettorina che, di tanto in tanto, lascia ancora trasparire lampi color giallo fosforescente. Una volta era una divisa di qualche organizzazione. Adesso, come per le molte che ancora intravedi sotto lo spesso strato di fango che le ricopre, è identica a quella che indossano tutte le formiche: è marrone, ora più scuro, ora più chiaro, ma chiaramente e anonimamente marrone come tutte le altre. Così, forse, non saprò mai il nome di chi stava spalando con me davanti a quel negozio né a quale gruppo appartenga, ma forse non importa.
Sei lì, c'è un lavoro da fare e manca il tempo di domandare, chiedere, parlare. Fare e fare presto è l'imperativo delle formiche in queste circostanze. Solo così si riesce a passare sopra anche a quelle piccole cose che certo non fanno piacere in quei momenti. Come il simpatico signore che, sacchetto della spazzatura alla mano, invece di raggiungere il camion dell'AMIU in sosta poco più avanti, preferisce servirsi del mucchio di fango che io e il ragazzo di fronte a me stiamo tirando fuori dal negozio. Si guarda attorno sornione - come se non ci fossero centinaia di formiche intorno - e, in un momento in cui presume che tutti siano distratti, lascia lì il sacchetto e si allontana di soppiatto. Se in quel momento fossi essere umano e non formica ti verrebbe la tentazione di farti sentire. Poi pensi che sei lì per un altro motivo, che il manico del badile che hai in mano è più utile sano e non rotto sulla capoccia di legno del tipo che ormai si allontana a passo spedito e allora guardi il compagno di fronte a te, sorridi, alzi le spalle e riprendi a spalare.
In fondo quanto è successo solo poche ore prima è talmente grande e grave che non puoi permettere a una bazzecola di questo tipo di distrarti da ciò che sei venuto a fare. Sai che è un contributo piccolo, ma sai anche che non puoi farlo mancare. E allora sotto di pala, ramazza, secchio e quant'altro. Lavori spalla a spalla con perfetti sconosciuti, segui direttive di persone che non hai mai visto, condividi fatiche con gente che, forse, non incontrerai mai più, ma lo fai. É il disordine organizzato delle formiche: ogni squadra trova da sé il proprio leader, porta a termine il lavoro, si scioglie, si sposta altrove, si aggrega ad altri e ricomincia.
É così sino all'allarme delle 13. Il suono delle sirene è assordante; l'ordine perentorio: "Pericolo. Scappare". Allora corri, acchiappi la giacca o lo zaino che hai lasciato la mattina due, tre, quattro negozi indietro e ti allontani con il fiato corto e una strana sensazione di paura che ti chiude la bocca dello stomaco.
Per fortuna non accade nulla. Così si ricomincia. Il giorno dopo e quello dopo ancora sei lì in mezzo a tante altre formiche in divisa marrone; ogni tanto intravedi qualcuno che conosci, che non incontri magari da anni e pensi..."ma guarda, non mi sarei mai aspettato di trovarlo qua"; ma il tempo è poco; giusto un saluto e via, fino a sera.
Poi a casa metti in ordine i ricordi; ripensi a ciò che è accaduto e alla riposta che la gente della città ha saputo dare.
Un'immagine tra le tante ti rimane negli occhi: quel signore che, davanti a quello che una volta era un negozio - il suo negozio -, alla richiesta "possiamo dare una mano?" ti guarda e ti risponde "Grazie, ma il mio vicino qua di fianco é messo peggio di me, aiutate prima lui". Formiche sì, ma ancora con una dignità da uomini.
Formiche con la pala, con la scopa, con secchi, contenitori e quant'altro; chi intento a spostare un'automobile ormai inutilizzabile, chi a portar fuori inservibili suppellettili da negozi, garage e scantinati, chi a pulire tombini per far defluire acqua e fango dalle strade. La sensazione è quella di trovarsi in una zona danneggiata di un immenso formicaio. Formiche fino a poche ore prima totalmente prese dalle proprie occupazioni, convenute ora nel quartiere ferito per portare aiuto.
Per quante ore al giorno può lavorare una sola formica? Il conto è presto fatto. Ma decine, centinaia di formiche possono moltiplicare a dismisura l'ammontare di quelle ore. Ed è proprio quello che è successo in questi giorni.
Arrivi e lì per lì non sai dove andare, a chi chiedere, cosa fare, ma vieni presto risucchiato là dove c'è una necessità, un'urgenza, un lavoro.
Finisco a buttar fuori fango da un negozio.
Di fronte a me, intento nel medesimo esercizio di pala, c'è un ragazzo che indossa una pettorina che, di tanto in tanto, lascia ancora trasparire lampi color giallo fosforescente. Una volta era una divisa di qualche organizzazione. Adesso, come per le molte che ancora intravedi sotto lo spesso strato di fango che le ricopre, è identica a quella che indossano tutte le formiche: è marrone, ora più scuro, ora più chiaro, ma chiaramente e anonimamente marrone come tutte le altre. Così, forse, non saprò mai il nome di chi stava spalando con me davanti a quel negozio né a quale gruppo appartenga, ma forse non importa.
Sei lì, c'è un lavoro da fare e manca il tempo di domandare, chiedere, parlare. Fare e fare presto è l'imperativo delle formiche in queste circostanze. Solo così si riesce a passare sopra anche a quelle piccole cose che certo non fanno piacere in quei momenti. Come il simpatico signore che, sacchetto della spazzatura alla mano, invece di raggiungere il camion dell'AMIU in sosta poco più avanti, preferisce servirsi del mucchio di fango che io e il ragazzo di fronte a me stiamo tirando fuori dal negozio. Si guarda attorno sornione - come se non ci fossero centinaia di formiche intorno - e, in un momento in cui presume che tutti siano distratti, lascia lì il sacchetto e si allontana di soppiatto. Se in quel momento fossi essere umano e non formica ti verrebbe la tentazione di farti sentire. Poi pensi che sei lì per un altro motivo, che il manico del badile che hai in mano è più utile sano e non rotto sulla capoccia di legno del tipo che ormai si allontana a passo spedito e allora guardi il compagno di fronte a te, sorridi, alzi le spalle e riprendi a spalare.
In fondo quanto è successo solo poche ore prima è talmente grande e grave che non puoi permettere a una bazzecola di questo tipo di distrarti da ciò che sei venuto a fare. Sai che è un contributo piccolo, ma sai anche che non puoi farlo mancare. E allora sotto di pala, ramazza, secchio e quant'altro. Lavori spalla a spalla con perfetti sconosciuti, segui direttive di persone che non hai mai visto, condividi fatiche con gente che, forse, non incontrerai mai più, ma lo fai. É il disordine organizzato delle formiche: ogni squadra trova da sé il proprio leader, porta a termine il lavoro, si scioglie, si sposta altrove, si aggrega ad altri e ricomincia.
É così sino all'allarme delle 13. Il suono delle sirene è assordante; l'ordine perentorio: "Pericolo. Scappare". Allora corri, acchiappi la giacca o lo zaino che hai lasciato la mattina due, tre, quattro negozi indietro e ti allontani con il fiato corto e una strana sensazione di paura che ti chiude la bocca dello stomaco.
Per fortuna non accade nulla. Così si ricomincia. Il giorno dopo e quello dopo ancora sei lì in mezzo a tante altre formiche in divisa marrone; ogni tanto intravedi qualcuno che conosci, che non incontri magari da anni e pensi..."ma guarda, non mi sarei mai aspettato di trovarlo qua"; ma il tempo è poco; giusto un saluto e via, fino a sera.
Poi a casa metti in ordine i ricordi; ripensi a ciò che è accaduto e alla riposta che la gente della città ha saputo dare.
Un'immagine tra le tante ti rimane negli occhi: quel signore che, davanti a quello che una volta era un negozio - il suo negozio -, alla richiesta "possiamo dare una mano?" ti guarda e ti risponde "Grazie, ma il mio vicino qua di fianco é messo peggio di me, aiutate prima lui". Formiche sì, ma ancora con una dignità da uomini.