<<Convinciamoci che siamo cadaveri che camminano>>. Le parole di Paolo Borsellino, pronunciate tranquillamente, quasi con distacco, fanno gelare il sangue. Si apre così lo spezzone del documentario “Due anni di stragi. Vent’anni di trattativa” realizzato dal giornale “Il Fatto Quotidiano”, attorno al quale si è articolato l’incontro voluto dagli studenti della Facoltà di Architettura.
Michael e Martina, gli organizzatori, hanno poco più di vent’anni, e probabilmente pochi ricordi personali di quel terribile 1992: l’anno dell’esplosione di Tangentopoli, della conferma in Cassazione delle condanne del maxiprocesso, e poi dell’avvio della stagione delle stragi di mafia. L’anno in cui, come ha ricordato Francesco Pinto, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Liguria e ospite della giornata, era nell’aria la concreta sensazione di essere a un momento di svolta per il paese.
Ma Michael e Martina sanno che è fondamentale che i ragazzi della loro età abbiano informazioni, conoscenze e consapevolezza di cosa furono quegli anni. Ancora Pinto ha sottolineato come, del resto, Borsellino si considerasse un formatore ed amasse stare in contatto con i giovani, cui indicare come <<sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà e rifiutare il puzzo del compromesso>>, come disse ad un incontro con i boyscout poche settimane prima di morire.
Ferruccio Sansa, giornalista de “Il Fatto Quotidiano”, si sofferma sulla controversa vicenda della trattativa fra Stato e mafia; ma evidenzia soprattutto l’importanza di ricordare sempre che Borsellino, Falcone e le persone che morirono con loro erano persone, non eroi: ridurli alla dimensione del santino, della targa commemorativa in marmo, della cerimonia vuota e retorica, reca offesa alla loro memoria.
Erano prima di tutto uomini e donne, consapevoli del proprio dovere ma obbligati a convivere per settimane e mesi con la certezza e le paure di un destino segnato . La necessità di arrivare ad accertare senza ombre e con piena trasparenza la verità su quelle vicende deve essere un omaggio soprattutto al loro essere persone; come siamo persone noi, impegnati individualmente e quotidianamente nel mantenere viva la loro battaglia.
La mamma di Borsellino stava facendo il caffè, quando ha sentito l’esplosione. Irrazionalmente, ha pensato che fosse scoppiata la caffettiera ed è uscita in strada temendo una fuga di gas. Scendendo le scale ingombre di vetri e calcinacci ha perso le pantofole ed è corsa fuori dal portone scalza, probabilmente scavalcando il corpo di suo figlio. Ma non si è ferita i piedi, e non ricorda di aver visto il corpo. A Salvatore Borsellino, il fratello del magistrato, si spezza la voce quando dice che forse Paolo, nel suo ultimo gesto, ha preso in braccio sua madre e le ha coperto gli occhi, preservandola dall’orrore.
Michael e Martina, gli organizzatori, hanno poco più di vent’anni, e probabilmente pochi ricordi personali di quel terribile 1992: l’anno dell’esplosione di Tangentopoli, della conferma in Cassazione delle condanne del maxiprocesso, e poi dell’avvio della stagione delle stragi di mafia. L’anno in cui, come ha ricordato Francesco Pinto, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Liguria e ospite della giornata, era nell’aria la concreta sensazione di essere a un momento di svolta per il paese.
Ma Michael e Martina sanno che è fondamentale che i ragazzi della loro età abbiano informazioni, conoscenze e consapevolezza di cosa furono quegli anni. Ancora Pinto ha sottolineato come, del resto, Borsellino si considerasse un formatore ed amasse stare in contatto con i giovani, cui indicare come <<sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà e rifiutare il puzzo del compromesso>>, come disse ad un incontro con i boyscout poche settimane prima di morire.
Ferruccio Sansa, giornalista de “Il Fatto Quotidiano”, si sofferma sulla controversa vicenda della trattativa fra Stato e mafia; ma evidenzia soprattutto l’importanza di ricordare sempre che Borsellino, Falcone e le persone che morirono con loro erano persone, non eroi: ridurli alla dimensione del santino, della targa commemorativa in marmo, della cerimonia vuota e retorica, reca offesa alla loro memoria.
Erano prima di tutto uomini e donne, consapevoli del proprio dovere ma obbligati a convivere per settimane e mesi con la certezza e le paure di un destino segnato . La necessità di arrivare ad accertare senza ombre e con piena trasparenza la verità su quelle vicende deve essere un omaggio soprattutto al loro essere persone; come siamo persone noi, impegnati individualmente e quotidianamente nel mantenere viva la loro battaglia.
La mamma di Borsellino stava facendo il caffè, quando ha sentito l’esplosione. Irrazionalmente, ha pensato che fosse scoppiata la caffettiera ed è uscita in strada temendo una fuga di gas. Scendendo le scale ingombre di vetri e calcinacci ha perso le pantofole ed è corsa fuori dal portone scalza, probabilmente scavalcando il corpo di suo figlio. Ma non si è ferita i piedi, e non ricorda di aver visto il corpo. A Salvatore Borsellino, il fratello del magistrato, si spezza la voce quando dice che forse Paolo, nel suo ultimo gesto, ha preso in braccio sua madre e le ha coperto gli occhi, preservandola dall’orrore.