Una vita normale, il lavoro, la casa, gli affetti, poi un giorno accade qualcosa, un corto circuito che cancella tutto quello che è stato prima e ci si ritrova da soli, per strada. Per tanti clochard questo è l’inizio di una lunga discesa, si vive per strada, non si ha più una casa, si impara a vivere da soli, randagi, lontani da tutti, magari come unici compagni la bottiglia o la droga.
Per anni a Genova c’è stato il Massoero, un dormitorio gestito dal Comune, dove trovare rifugio la notte, insieme ad altre cento persone, senza nessuna privacy, ma almeno c’era la possibilità di un letto pulito, di farsi una doccia ed avere un pasto caldo. Da una decina d’anni questo rifugio non esiste più, ma per queste persone il Comune, in collaborazione con la rete delle associazioni che si occupano di senza fissa dimora sul territorio, ha iniziato un progetto che prevedeva la convivenza in piccole comunità, una prova, perché passare dalla strada a vivere nuovamente con altre persone in spazi chiusi poteva non essere semplice, non essere possibile.
Ma i risultati ottenuti in questi anni sono stati più che confortanti, anche dopo dieci, quindici anni sulla strada, queste convivenze hanno dato ottimi risultati: vedersi tendere una mano per risalire dal degrado nel quale si è scivolati dà la forza per riappropriarsi, faticosamente, della propria vita. La convivenza di queste tre persone è iniziata in un alloggio di via Lomellini, ora continuerà in questa nuova soluzione di vita autogestita, perché, sempre sotto la supervisione dei Servizi Sociali, dovranno convivere, fare la spesa, tenere in ordine i loro spazi, praticamente tutto da soli, con le loro forze, anche economiche.
Nelle parole dell’Assessore Paola Dameri, il riconoscimento del lavoro «lungo e paziente svolto dalle Assistenti Sociali dei due A.T.S. Centro Est e Valbisagno» e la soddisfazione per il risultato ottenuto, di essere riusciti a reinserire nel tessuto sociale queste persone. La consegna della casa è un po’ anche il simbolo del successo di questo lavoro: riuscire a far convivere tre persone che hanno alle spalle vissuti fortemente problematici nello stesso spazio.
«La casa – ha spiegato l’Assessore – non è solo un bene materiale, ma ci rappresenta, siamo noi con il nostro essere, in quattro mura portiamo la nostra storia, i nostri ricordi, belli e brutti. Una casa per ripartire, per riannodare i fili di esistenze che si erano sgretolate: una casa per riappropriarsi della propria dignità».
Per anni a Genova c’è stato il Massoero, un dormitorio gestito dal Comune, dove trovare rifugio la notte, insieme ad altre cento persone, senza nessuna privacy, ma almeno c’era la possibilità di un letto pulito, di farsi una doccia ed avere un pasto caldo. Da una decina d’anni questo rifugio non esiste più, ma per queste persone il Comune, in collaborazione con la rete delle associazioni che si occupano di senza fissa dimora sul territorio, ha iniziato un progetto che prevedeva la convivenza in piccole comunità, una prova, perché passare dalla strada a vivere nuovamente con altre persone in spazi chiusi poteva non essere semplice, non essere possibile.
Ma i risultati ottenuti in questi anni sono stati più che confortanti, anche dopo dieci, quindici anni sulla strada, queste convivenze hanno dato ottimi risultati: vedersi tendere una mano per risalire dal degrado nel quale si è scivolati dà la forza per riappropriarsi, faticosamente, della propria vita. La convivenza di queste tre persone è iniziata in un alloggio di via Lomellini, ora continuerà in questa nuova soluzione di vita autogestita, perché, sempre sotto la supervisione dei Servizi Sociali, dovranno convivere, fare la spesa, tenere in ordine i loro spazi, praticamente tutto da soli, con le loro forze, anche economiche.
Nelle parole dell’Assessore Paola Dameri, il riconoscimento del lavoro «lungo e paziente svolto dalle Assistenti Sociali dei due A.T.S. Centro Est e Valbisagno» e la soddisfazione per il risultato ottenuto, di essere riusciti a reinserire nel tessuto sociale queste persone. La consegna della casa è un po’ anche il simbolo del successo di questo lavoro: riuscire a far convivere tre persone che hanno alle spalle vissuti fortemente problematici nello stesso spazio.
«La casa – ha spiegato l’Assessore – non è solo un bene materiale, ma ci rappresenta, siamo noi con il nostro essere, in quattro mura portiamo la nostra storia, i nostri ricordi, belli e brutti. Una casa per ripartire, per riannodare i fili di esistenze che si erano sgretolate: una casa per riappropriarsi della propria dignità».