«Negli ultimi anni ci siamo abituati - alcuni a forza - a sentire, leggere, scrivere alcuni termini, come sindaca e assessora, che rappresentano un mutamento storico e sociale e che possono essere un elemento a favore per un cambiamento culturale necessario» Elena Fiorini entra subito in argomento, in una sala Camino più affollata del solito, e spiega le ragioni della scelta di questo approfondimento sul tema del linguaggio e dei media, in collaborazione con Il Secolo XIX.
«Il linguaggio è il primo modo di definire un’identità – prosegue l’assessora – e se la lingua da un lato rappresenta la realtà, dall’altro contribuisce a influenzarla» e sottolinea che l’Accademia della Crusca ha più volte accreditato l’uso del genere femminile per parole che designano ruoli che erano appannaggio esclusivamente maschile fino a pochi decenni fa. “Le donne entrano in magistratura solo nel 1963» ricorda l’avvocata Fiorini.
«Capita di sentir dire che un certo sostantivo declinato al femminile ‘suona male’, ma le parole sono importanti perché sono un primo passo che ci aiuta a non rimanere indietro rispetto alla realtà» aggiunge Fiorini che, a questo proposito, cita quanto ha detto in diverse occasioni Nicoletta Maraschio, presidente onoraria dell’Accademia della Crusca, ovvero come la lingua sia un organismo fluido che si consolida nel tempo e come le parole non solo debbano rispecchiare una società in movimento, ma possano, e debbano, contribuire ad accelerare questo movimento.
Ma come e quanto i media parlano delle donne? Elena Fiorini cita il Global media monitoring project che dal 1995 fornisce ogni cinque anni dati al riguardo: una donna su quattro fa notizia in quanto vittima, nel 28% dei casi una donna viene definita dai media in base al una sua relazione familiare (moglie, madre..) percentuale che scende all’8% per gli uomini.
E come vengono trasmesse dai media le notizie sulle violenze e sui femminicidi? «Il femminicidio per la stampa è sempre frutto di un ‘raptus improvviso’ o di un ‘momento di perdita di raziocinio’ da parte dell’uomo che ‘era un così bravo ragazzo, non ce lo saremmo mai aspettato’» sintetizza così gli stereotipi di un certo giornalismo Licia Casali che, da segretaria dell’Ordine dei giornalisti ligure, l’anno scorso ha promosso un convegno per sensibilizzare i colleghi giornalisti «Il femminicidio è un omicidio e come tale va comunicato: non è un raptus di gelosia e non è amore malato».
Anche per Bia Sarasini, giornalista e saggista, le parole sono importanti «Esistono i fatti ed esiste il modo in cui vengono raccontati, le parole che si scelgono e le persone cui si decide di dare voce». Nel suo intenso intervento la saggista introduce il tema dell’educazione degli adolescenti maschi e fa riferimento a due uomini che l’hanno affrontato: lo psicanalista Luigi Zoja e lo scrittore Edoardo Albinati che nel suo libro L’educazione cattolica ricorda il ‘delitto del Circeo’, avvenuto a Roma nel 1975, e si interroga, da uomo, su come la formazione dei giovani maschi possa incidere sul loro comportamento nei confronti delle donne. Sarasini insiste sull'importanza di un cambiamento culturale perché «il femminicidio rappresenta un comportamento maschile di reazione ad atti di libertà femminile».
Le parole rappresentano 'il nostro sguardo sul mondo', dice la sociologa Emanuela Abbatecola che nel suo intervento analizza le immancabili insinuazioni sulla reputazione sessuale di una donna quando la si vuole insultare, il paternalismo mascherato degli ambienti di lavoro in cui appellativi come stellina, cara, piccola nascondono l’intenzione, più o meno consapevole, di una 'inferiorizzazione' della donna, fino all’uso della sineddoche, la parte per il tutto, che trasferisce nel parlato quella parcellizzazione del corpo della donna ben descritta nel video di Lorella Zanardo.
«Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste. Le parole sono importanti» (dal film “Palombella rossa” di Nanni Moretti, 1989)
«Il linguaggio è il primo modo di definire un’identità – prosegue l’assessora – e se la lingua da un lato rappresenta la realtà, dall’altro contribuisce a influenzarla» e sottolinea che l’Accademia della Crusca ha più volte accreditato l’uso del genere femminile per parole che designano ruoli che erano appannaggio esclusivamente maschile fino a pochi decenni fa. “Le donne entrano in magistratura solo nel 1963» ricorda l’avvocata Fiorini.
«Capita di sentir dire che un certo sostantivo declinato al femminile ‘suona male’, ma le parole sono importanti perché sono un primo passo che ci aiuta a non rimanere indietro rispetto alla realtà» aggiunge Fiorini che, a questo proposito, cita quanto ha detto in diverse occasioni Nicoletta Maraschio, presidente onoraria dell’Accademia della Crusca, ovvero come la lingua sia un organismo fluido che si consolida nel tempo e come le parole non solo debbano rispecchiare una società in movimento, ma possano, e debbano, contribuire ad accelerare questo movimento.
Ma come e quanto i media parlano delle donne? Elena Fiorini cita il Global media monitoring project che dal 1995 fornisce ogni cinque anni dati al riguardo: una donna su quattro fa notizia in quanto vittima, nel 28% dei casi una donna viene definita dai media in base al una sua relazione familiare (moglie, madre..) percentuale che scende all’8% per gli uomini.
E come vengono trasmesse dai media le notizie sulle violenze e sui femminicidi? «Il femminicidio per la stampa è sempre frutto di un ‘raptus improvviso’ o di un ‘momento di perdita di raziocinio’ da parte dell’uomo che ‘era un così bravo ragazzo, non ce lo saremmo mai aspettato’» sintetizza così gli stereotipi di un certo giornalismo Licia Casali che, da segretaria dell’Ordine dei giornalisti ligure, l’anno scorso ha promosso un convegno per sensibilizzare i colleghi giornalisti «Il femminicidio è un omicidio e come tale va comunicato: non è un raptus di gelosia e non è amore malato».
Anche per Bia Sarasini, giornalista e saggista, le parole sono importanti «Esistono i fatti ed esiste il modo in cui vengono raccontati, le parole che si scelgono e le persone cui si decide di dare voce». Nel suo intenso intervento la saggista introduce il tema dell’educazione degli adolescenti maschi e fa riferimento a due uomini che l’hanno affrontato: lo psicanalista Luigi Zoja e lo scrittore Edoardo Albinati che nel suo libro L’educazione cattolica ricorda il ‘delitto del Circeo’, avvenuto a Roma nel 1975, e si interroga, da uomo, su come la formazione dei giovani maschi possa incidere sul loro comportamento nei confronti delle donne. Sarasini insiste sull'importanza di un cambiamento culturale perché «il femminicidio rappresenta un comportamento maschile di reazione ad atti di libertà femminile».
Le parole rappresentano 'il nostro sguardo sul mondo', dice la sociologa Emanuela Abbatecola che nel suo intervento analizza le immancabili insinuazioni sulla reputazione sessuale di una donna quando la si vuole insultare, il paternalismo mascherato degli ambienti di lavoro in cui appellativi come stellina, cara, piccola nascondono l’intenzione, più o meno consapevole, di una 'inferiorizzazione' della donna, fino all’uso della sineddoche, la parte per il tutto, che trasferisce nel parlato quella parcellizzazione del corpo della donna ben descritta nel video di Lorella Zanardo.
«Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste. Le parole sono importanti» (dal film “Palombella rossa” di Nanni Moretti, 1989)