Sono le 19,30 del 25 aprile 1945, il generale tedesco Gunther Meinhold firma, a villa Migone, l'atto di resa alla presenza di Remo Scappini, Errico Martino e Giovanni Savoretti, membri del Comitato di Liberazione Nazionale per la Liguria e dal maggiore Mauro Aloni, comandante della Piazza di Genova. Con questo atto i tedeschi si arrendono ai partigiani. Genova è libera.
Sono passati 72 anni e per ricordare l’avvenimento che segnò la fine della guerra nella nostra città, il sindaco Marco Doria e Gian Giacomo Migone – erede dei proprietari della villa in cui si firmò la resa - hanno invitato a villa Migone i discendenti di alcuni dei protagonisti di quella giornata: Tania Scappini, nipote dell’operaio Remo, presidente del CLN ligure, Wilko Meinhold e Marianne Doering, nipoti del generale Meinhold, comandante delle forze armate tedesche in Liguria, Guido e Jack Savoretti, pop star inglese, nipote di Giovanni Savoretti, medico partigiano firmatario dell'atto.
Sono presenti tutte le autorità: il Comune con il sindaco Marco Doria e l’assessore Pino Boero, la Città metropolitana con il consigliere Enrico Pignone, l’europarlamentare Sergio Cofferati, il vescovo vicario Nicolò Anselmi, il prefetto Fiamma Spena, il questore Sergio Bracco, il presidente del Tribunale di Genova, Claudio Viazzi e Giacomo Ronzitti presidente ILSREC.
L’attore Marco Rinaldi, autore dello spettacolo “Cenere”, nel quale narra con stile colloquiale alcuni episodi meno conosciuti della resistenza ligure, ha introdotto le testimonianze dei familiari.
È la prima volta che si incontrano i discendenti di tutte e due le parti – i partigiani e gli occupanti tedeschi – che seduti intorno a un tavolo, seppero mettere la parola fine alla guerra a Genova.
LA FIRMA DELL'ATTO DI RESA, UNA FIRMA PER LA PACE
«Entrando in questa stanza – dice il sindaco Marco Doria – ho immaginato la scena dell’incontro, 72 anni fa, tra persone diverse per ideali politici, estrazione sociale ma unite da un unico desiderio: mettere la parola fine alla guerra. I partigiani che si incontrarono con il generale Gunther Meinhold erano giovani, ma scelsero, in anni difficili, di impegnarsi. A rischio della loro vita, scelsero di lottare per un futuro di pace, per una vita libera, per vivere in una società democratica. Hanno vissuto, e non solo dichiarato, il loro antifascismo, che voleva dire essere contro la guerra, le discriminazioni razziali, la cancellazione della libertà personale.
Questo è stato il loro denominatore comune: essere contro il fascismo e aver deciso di impegnarsi».
E in questa villa «incontrano il nemico – prosegue Doria – e cercano con lui un punto di contatto: basta guerra, acceleriamo la fine delle ostilità per salvare qualche vita umana in più. Trovano nel generale Meinhold un uomo intelligente, che rifiuta di far bombardare il porto di Genova perché capisce che non è più tempo di combattere. È tempo di cercare la pace».
Per questo suo atto di disobbedienza, Meinhold dovette scappare. Furono gli stessi partigiani ad aiutarlo nella fuga.
«Dalla firma di questo atto discende una grande lezione: bisogna impegnarsi in prima persona per costruire un mondo diverso, una società che non produca guerre» commenta il sindaco.
I RICORDI DEI NIPOTI
«I nostri nonni non erano uomini che amavano parlare di cosa accadde quel 25 aprile – raccontano i familiari dei partigiani e del generale tedesco – erano uomini che preferivano fare piuttosto che parlare di fare. Contrariamente a quanto accade spesso oggi».
Jack Savoretti - nipote di Giovanni Savoretti e affermata pop star, che per essere oggi a questo evento ha interrotto il suo tour - ricorda che «mio nonno era un uomo semplice, un grand’uomo, ma semplice. Per lui non era importante il ruolo che aveva avuto ma la firma dell’atto di resa».
«La liberazione è un ponte tra generazioni» sottolineano nei loro interventi il sindaco Doria, Gian Giacomo Migone, Roberta Canu del Goethe Institut e il vescovo ausiliare, monsignor Nicolò Anselmi, che ricorda Papa Benedetto XV che già nel 1917 condannò la guerra come “inutile strage” e “suicidio dell'Europa civile”.
«Sono cresciuto con Genova nel cuore – racconta Jack Savoretti – c’è tanto di Genova nelle mie canzoni. Ho trascorso qui tanta parte della mia infanzia e girando per la città mio padre mi ha raccontato cosa accadde, cosa fece il nonno. Qui c'è un monumento che lo ricorda, mi ha sempre reso fiero parlare di lui, è stato un uomo di valore e onestà. Il suo nome di battaglia era Lanza, e ho chiamato così la mia casa discografica».
DALLA GUERRA ALLA NASCITA DELL'EUROPA UNITA
Il sogno di un’Europa unita nasce da uomini come i partigiani, che rischiarono in prima persona la loro vita perché noi oggi fossimo liberi, da intellettuali al confino, come Altiero Spinelli, Eugenio Rossi ed Eugenio Colorni che ne gettarono le basi nel Manifesto di Ventotene, ricorda il sindaco Marco Doria, ma «Oggi si sentono segnali che preoccupano, in chiaro contrasto con quel percorso che tendeva a dare meno importanza ai confini nazionali e privilegiava tolleranza e integrazione. Quanto avvenne in queste stanze è una lezione che la storia ci dà: c’è bisogno di più impegno civile esattamente come allora, di valori profondi: L’attualità dell’antifascismo sta nel calarli nella realtà del 2017».
E il compito di attualizzare questi principi passa ora alle nuove generazioni. Per Jack Savoretti, classe 1983, «oggi vediamo cos’è l’Europa che i nostri nonni hanno sognato. Ho detto a mia figlia, prima di venire a Genova, che mio nonno era un eroe e io sono fiero di lui. Lei mi ha chiesto: “papà, lo studierò a scuola?” No, le ho risposto. Ecco, trovo che non si faccia abbastanza per tenere vivo il ricordo di quanto hanno fatto i partigiani. In Inghilterra, forse perché è una nazione vincitrice, c’è più memoria, ma anche l’Italia deve andare fiera di quanto ha fatto per riscattarsi dal fascismo».
Jack Savoretti ha il nome del nonno – Giovanni – e dice «questo nome che porto è una responsabilità, sento il dovere di esserci, di raccontare cosa hanno fatto questi eroi silenziosi».
L'INSEGNAMENTO DELLA RESISTENZA
“Che cosa resta della Resistenza?” si chiedeva nel 1954 Piero Calamandrei. “La vittoria contro noi stessi: aver ritrovato dentro noi stessi la dignità dell’uomo”, ricorda il primo cittadino. «Oggi come allora c’è bisogno di impegno civile, di valori profondi. C’è bisogno di mettersi in gioco».
Sono passati 72 anni e per ricordare l’avvenimento che segnò la fine della guerra nella nostra città, il sindaco Marco Doria e Gian Giacomo Migone – erede dei proprietari della villa in cui si firmò la resa - hanno invitato a villa Migone i discendenti di alcuni dei protagonisti di quella giornata: Tania Scappini, nipote dell’operaio Remo, presidente del CLN ligure, Wilko Meinhold e Marianne Doering, nipoti del generale Meinhold, comandante delle forze armate tedesche in Liguria, Guido e Jack Savoretti, pop star inglese, nipote di Giovanni Savoretti, medico partigiano firmatario dell'atto.
Sono presenti tutte le autorità: il Comune con il sindaco Marco Doria e l’assessore Pino Boero, la Città metropolitana con il consigliere Enrico Pignone, l’europarlamentare Sergio Cofferati, il vescovo vicario Nicolò Anselmi, il prefetto Fiamma Spena, il questore Sergio Bracco, il presidente del Tribunale di Genova, Claudio Viazzi e Giacomo Ronzitti presidente ILSREC.
L’attore Marco Rinaldi, autore dello spettacolo “Cenere”, nel quale narra con stile colloquiale alcuni episodi meno conosciuti della resistenza ligure, ha introdotto le testimonianze dei familiari.
È la prima volta che si incontrano i discendenti di tutte e due le parti – i partigiani e gli occupanti tedeschi – che seduti intorno a un tavolo, seppero mettere la parola fine alla guerra a Genova.
LA FIRMA DELL'ATTO DI RESA, UNA FIRMA PER LA PACE
«Entrando in questa stanza – dice il sindaco Marco Doria – ho immaginato la scena dell’incontro, 72 anni fa, tra persone diverse per ideali politici, estrazione sociale ma unite da un unico desiderio: mettere la parola fine alla guerra. I partigiani che si incontrarono con il generale Gunther Meinhold erano giovani, ma scelsero, in anni difficili, di impegnarsi. A rischio della loro vita, scelsero di lottare per un futuro di pace, per una vita libera, per vivere in una società democratica. Hanno vissuto, e non solo dichiarato, il loro antifascismo, che voleva dire essere contro la guerra, le discriminazioni razziali, la cancellazione della libertà personale.
Questo è stato il loro denominatore comune: essere contro il fascismo e aver deciso di impegnarsi».
E in questa villa «incontrano il nemico – prosegue Doria – e cercano con lui un punto di contatto: basta guerra, acceleriamo la fine delle ostilità per salvare qualche vita umana in più. Trovano nel generale Meinhold un uomo intelligente, che rifiuta di far bombardare il porto di Genova perché capisce che non è più tempo di combattere. È tempo di cercare la pace».
Per questo suo atto di disobbedienza, Meinhold dovette scappare. Furono gli stessi partigiani ad aiutarlo nella fuga.
«Dalla firma di questo atto discende una grande lezione: bisogna impegnarsi in prima persona per costruire un mondo diverso, una società che non produca guerre» commenta il sindaco.
I RICORDI DEI NIPOTI
«I nostri nonni non erano uomini che amavano parlare di cosa accadde quel 25 aprile – raccontano i familiari dei partigiani e del generale tedesco – erano uomini che preferivano fare piuttosto che parlare di fare. Contrariamente a quanto accade spesso oggi».
Jack Savoretti - nipote di Giovanni Savoretti e affermata pop star, che per essere oggi a questo evento ha interrotto il suo tour - ricorda che «mio nonno era un uomo semplice, un grand’uomo, ma semplice. Per lui non era importante il ruolo che aveva avuto ma la firma dell’atto di resa».
«La liberazione è un ponte tra generazioni» sottolineano nei loro interventi il sindaco Doria, Gian Giacomo Migone, Roberta Canu del Goethe Institut e il vescovo ausiliare, monsignor Nicolò Anselmi, che ricorda Papa Benedetto XV che già nel 1917 condannò la guerra come “inutile strage” e “suicidio dell'Europa civile”.
«Sono cresciuto con Genova nel cuore – racconta Jack Savoretti – c’è tanto di Genova nelle mie canzoni. Ho trascorso qui tanta parte della mia infanzia e girando per la città mio padre mi ha raccontato cosa accadde, cosa fece il nonno. Qui c'è un monumento che lo ricorda, mi ha sempre reso fiero parlare di lui, è stato un uomo di valore e onestà. Il suo nome di battaglia era Lanza, e ho chiamato così la mia casa discografica».
DALLA GUERRA ALLA NASCITA DELL'EUROPA UNITA
Il sogno di un’Europa unita nasce da uomini come i partigiani, che rischiarono in prima persona la loro vita perché noi oggi fossimo liberi, da intellettuali al confino, come Altiero Spinelli, Eugenio Rossi ed Eugenio Colorni che ne gettarono le basi nel Manifesto di Ventotene, ricorda il sindaco Marco Doria, ma «Oggi si sentono segnali che preoccupano, in chiaro contrasto con quel percorso che tendeva a dare meno importanza ai confini nazionali e privilegiava tolleranza e integrazione. Quanto avvenne in queste stanze è una lezione che la storia ci dà: c’è bisogno di più impegno civile esattamente come allora, di valori profondi: L’attualità dell’antifascismo sta nel calarli nella realtà del 2017».
E il compito di attualizzare questi principi passa ora alle nuove generazioni. Per Jack Savoretti, classe 1983, «oggi vediamo cos’è l’Europa che i nostri nonni hanno sognato. Ho detto a mia figlia, prima di venire a Genova, che mio nonno era un eroe e io sono fiero di lui. Lei mi ha chiesto: “papà, lo studierò a scuola?” No, le ho risposto. Ecco, trovo che non si faccia abbastanza per tenere vivo il ricordo di quanto hanno fatto i partigiani. In Inghilterra, forse perché è una nazione vincitrice, c’è più memoria, ma anche l’Italia deve andare fiera di quanto ha fatto per riscattarsi dal fascismo».
Jack Savoretti ha il nome del nonno – Giovanni – e dice «questo nome che porto è una responsabilità, sento il dovere di esserci, di raccontare cosa hanno fatto questi eroi silenziosi».
L'INSEGNAMENTO DELLA RESISTENZA
“Che cosa resta della Resistenza?” si chiedeva nel 1954 Piero Calamandrei. “La vittoria contro noi stessi: aver ritrovato dentro noi stessi la dignità dell’uomo”, ricorda il primo cittadino. «Oggi come allora c’è bisogno di impegno civile, di valori profondi. C’è bisogno di mettersi in gioco».