I piani di bacino, come strumenti di analisi del territorio e di programmazione degli interventi dal punto di vista idrogeologico, sono stati oggi all'attenzione della Commissione Speciale per l'alluvione, istituita dal Consiglio comunale nel dicembre scorso con il compito di approfondire, valutare e relazionare sulle conseguenze del pesante nubifragio che ha colpito la città il 4 novembre.
Ne ha parlato in particolare l'ing. Paolo Tizzoni, direttore generale dell’Area territorio, sviluppo urbanistico ed economico, grandi progetti territoriali, convocato dalla Commissione, presieduta da Giuseppe Costa (Pdl), che ha convocato e ascoltato anche Stefano Pinasco, direttore Manutenzioni, infrastrutture, verde, parchi, e Sandro Gambelli, dirigente Settore protezione civile e volontariato.
Tizzoni ha ripercorso l’evoluzione della complessa tematica alluvioni sul territorio genovese, ed ha approfondito appunto il tema dei piani di bacino che riguardano i principali corsi d’acqua che attraversano la città: Leira, Varenna, Polcevera, Chiaravagna, Bisagno; oltre a quelli relativi ai rivi minori delle aree del levante, centro storico e ponente. Strumenti fondamentali – ha chiarito Tizzoni – anche per l'adeguamento, la manutenzione e la progettazione delle opere necessarie alla messa in sicurezza dei corsi d'acqua, nonché per la programmazione dei piani di protezione civile nelle aree interessate.
Dal 1984 finanziate opere per 200 milioni di euro
Ripercorrendo le tappe di approvazione e della progressiva applicazione dei piani di bacino, Tizzoni ha ricordato che i fiumi e i torrenti Sturla, Fereggiano, Leira, San Pietro, Varenna, Chiaravagna, Polcevera (i cui problemi sono legati sopratutto al loro affluenti) e, ovviamente, Bisagno sono stati interessati da lavori mirati a migliorare le condizioni di sicurezza. Dall’84 ad oggi sono state finanziate opere – previste nei piani - per 200 milioni di euro complessivi. Fra gli aspetti che normalmente sono meno conosciuti dai non addetti ai lavori, Tizzoni ha illustrato alla Commissione ad esempio come i piani classifichino gli indici di rischio tenendo conto della “frequenza prevedibile degli eventi” e della “quantità di popolazione coinvolta”. Gli eventi alluvionali vengono classificati secondo tre fasce, in base alla quantità di acqua che si riversa sui bacini: la “fascia A” comprende eventi che generalmente ricorrono in media ogni 50 anni, la “fascia B” fra i 50 e i 200 anni, la “C” ogni 500 anni e oltre. Il tutto classificato tenuto conto dei sistemi di rilevazione che, ovviamente, sono relativamente precisi solo a partire dall’’800. Ma alluvioni nella zona del Bisagno, ad esempio, sono registrate negli annali genovesi fin dal XIV secolo.
«L’80% delle opere idrauliche esistenti nel territorio cittadino - ha osservato Tizzoni - sono insufficienti, perché Genova, fin dal più lontano passato, è stata costruita su presupposti inadeguati. Si pensi che nel 1936 nell’alveo dello Sturla, largo a monte oltre 20 metri, venne costruito un ponte, all’altezza di viale Cembrano, di soli 9,80 metri. Lo Sturla è stato riportato alla normalità solo con i lavori recenti». In sostanza, lo sviluppo della città, nel passato, non ha tenuto conto della possibile eccezionalità dei fenomeni meteorologici - peraltro fortemente mutati negli ultimi anni con lo sviluppo di fortissime celle temporalesche che coprono aree di pochi chilometri - e della loro ricorrenza, sia pure nell’arco di decenni o di secoli. In ogni caso, ha sottolineato Tizzoni, le situazioni verificatesi il 4 novembre erano ricomprese nelle previsioni dei piani di bacino.
Il Bisagno è ovviamente una delle aree più delicate del territorio cittadino. Molto importanti sono stati i lavori di rifacimento della copertura, che hanno aumentato la portata ed evitato il ripetersi di una situazione che avrebbe potuto essere del tutto simile a quella del ‘70. «Per il Bisagno - ha ricordato l'ingegnere - erano state prese in considerazione tutte le possibili soluzioni, fino al completo scoperchiamento della copertura finale, che però sarebbe del tutto impraticabile per la normale vita della città».
Si è scelta così la strada della rifunzionalizzazione della copertura, con la quale si è abbassato di 1,80 m l’alveo del fiume, assottigliando la copertura stessa, mentre la larghezza non si è potuta toccare perché l’alveo di 48 metri degli anni ‘30 confina con le cantine e le fondamenta di palazzi e negozi. Si è arrivati così ad una portata di 850 metri cubi/secondo. Grazie al completamento della ristrutturazione fino all’area della Questura, e considerato che un “pennello” collocato alla Foce ha consentito di non risentire delle condizioni del mare (come era invece successo nel ‘70), si è passati nel giro di pochissimo tempo da una portata di 450 metri cubi ad una di oltre 750.
La scopertura totale del Bisagno? Soluzione incompatibile
Considerato che per il Fereggiano l’evento si colloca nella fascia di ricorrenza fra i 50 e i 200 anni, e per lo stesso Bisagno siamo nella fascia di ricorrenza dei 100 anni (come quella del ‘70 con i suoi 900 metri cubi/secondo), si può dire che l’adeguamento della copertura ha evitato problemi molto maggiori. Se il rifacimento della copertura fosse stato ultimato fino a Brignole, il Bisagno non sarebbe uscito. Il ponte della Ferrovia, da molti indicato come un possibile “tappo”, in realtà è più alto della copertura. Il piano stradale arriva, infatti, a circa metà del raggio del ponte. Ma, appunto, una soluzione radicale che preveda la scopertura totale del Bisagno - come alcuni esperti avevano proposto nei giorni seguenti il 4 novembre - sarebbe incompatibile con la vita della città.
Si è parlato a lungo anche delle varie soluzioni individuate nel tempo per la realizzazione del famoso canale scolmatore sul Bisagno e sul Fereggiano. La soluzione individuata interesserebbe i torrenti Rio Noce, Rio Rovare e Fereggiano, portando via altri 450 metri cubi/sec. e non impoverendo la falda acquifera del Bisagno che alimenta l’acquedotto. Il canale sfocerebbe in corso Italia, all’altezza dei bagni Marinella, per una lunghezza totale di 6,5 km e una larghezza di 9 metri.
Tasto dolente i soldi. Finora nel rifacimento della copertura del Bisagno sono stati investiti 105 milioni di euro e i lavori arriveranno fino all’altezza di via Santa Zita. Per il completamento fino a Brignole servirebbero altri 90 milioni di euro; per il canale scolmatore, invece, circa 200 milioni di euro. Risorse per le quali non può bastare il Comune, ovviamente, e che devono arrivare dallo Stato, il quale recentemente non ha dato risposte, anche se, come ha sottolineato Tizzoni, i diversi governi non hanno ignorato, per quanto possibile, le esigenze della città.
In totale, per mettere complessivamente in sicurezza tutto il sistema idrologico genovese, servirebbero circa 500 milioni di euro, considerate le diverse problematiche, come l’utilizzo di molti rivi, in particolare nel centro storico, nell’ambito della rete fognaria della città. Alcune zone, ad esempio via Orefici, Macelli di Soziglia, e altre, sono sicuramente critiche. «Adeguare alle portate attuali cunicoli come quelli - ha osservato Tizzoni - è difficile». L’ingegnere ha poi ricordato altre zone (Veilino e Geirato) dove il Comune, con risorse proprie, ha già investito 2 milioni di euro, realizzando tombinature che hanno consentito la messa in sicurezza.
Aggiornamento annuale per i piani di bacino
Da non sottovalutare il fatto che i piani di bacino prevedono un aggiornamento annuale. A questo proposito, le ultime modifiche hanno riguardato i movimenti franosi. Ora si deve lavorare sull’adeguamento delle previsioni in termini di portata, alla luce dei recenti fenomeni atmosferici. Ma, soprattutto, è fondamentale proseguire nei lavori di messa in sicurezza, concentrandosi sulle opere più urgenti rispetto ai rischi, tra cui il completamento del rifacimento della copertura del Bisagno e il canale scolmatore.
Laddove l’evento alluvionale superasse le previsioni di ricorrenza e quindi la messa in sicurezza non bastasse, interviene il piano di Protezione Civile. «Dove l’azzeramento dei rischi non è completato con i lavori - ha detto Franco Gambelli - lo si limita con la Protezione Civile. Ogni cittadino, in una situazione che potrebbe comportare dei rischi, deve rendersi conto del pericolo e adottare norme conseguenti di comportamento e autotutela. Ogni anno a Genova viene realizzata una capillare campagna informativa; sono state censite 35 frane e tutte le persone residenti in quelle zone sono state informate. Certo, quando l’opera di sensibilizzazione investe aree con 100 mila persone, come nel caso del Bisagno, lo sforzo va al di là di quello che può fare un sindaco, e coinvolge Prefettura e Regione, come previsto dalla legge (il cosiddetto scenario B della legge 295/92)».
Dalla Commissione il riconoscimento del buon lavoro svolto
Nel dibattito seguito all’intervento di Tizzoni, Pinasco e Gambelli sono intervenuti, fra gli altri, i consiglieri Murolo, Cappello, Luciano Grillo, e il noto geologo prof. Claudio Eva. Tutti hanno riconosciuto la completezza dei dati, e, con diverse sfumature, lo sforzo che è stato fatto (in una situazione comunque eccezionale), ed è ancora in corso, per affrontare le criticità. Il 7 febbraio la Commissione farà un sopralluogo nelle zone interessate e consegnerà la propria relazione finale al Consiglio comunale entro il 4 marzo.
Ne ha parlato in particolare l'ing. Paolo Tizzoni, direttore generale dell’Area territorio, sviluppo urbanistico ed economico, grandi progetti territoriali, convocato dalla Commissione, presieduta da Giuseppe Costa (Pdl), che ha convocato e ascoltato anche Stefano Pinasco, direttore Manutenzioni, infrastrutture, verde, parchi, e Sandro Gambelli, dirigente Settore protezione civile e volontariato.
Tizzoni ha ripercorso l’evoluzione della complessa tematica alluvioni sul territorio genovese, ed ha approfondito appunto il tema dei piani di bacino che riguardano i principali corsi d’acqua che attraversano la città: Leira, Varenna, Polcevera, Chiaravagna, Bisagno; oltre a quelli relativi ai rivi minori delle aree del levante, centro storico e ponente. Strumenti fondamentali – ha chiarito Tizzoni – anche per l'adeguamento, la manutenzione e la progettazione delle opere necessarie alla messa in sicurezza dei corsi d'acqua, nonché per la programmazione dei piani di protezione civile nelle aree interessate.
Dal 1984 finanziate opere per 200 milioni di euro
Ripercorrendo le tappe di approvazione e della progressiva applicazione dei piani di bacino, Tizzoni ha ricordato che i fiumi e i torrenti Sturla, Fereggiano, Leira, San Pietro, Varenna, Chiaravagna, Polcevera (i cui problemi sono legati sopratutto al loro affluenti) e, ovviamente, Bisagno sono stati interessati da lavori mirati a migliorare le condizioni di sicurezza. Dall’84 ad oggi sono state finanziate opere – previste nei piani - per 200 milioni di euro complessivi. Fra gli aspetti che normalmente sono meno conosciuti dai non addetti ai lavori, Tizzoni ha illustrato alla Commissione ad esempio come i piani classifichino gli indici di rischio tenendo conto della “frequenza prevedibile degli eventi” e della “quantità di popolazione coinvolta”. Gli eventi alluvionali vengono classificati secondo tre fasce, in base alla quantità di acqua che si riversa sui bacini: la “fascia A” comprende eventi che generalmente ricorrono in media ogni 50 anni, la “fascia B” fra i 50 e i 200 anni, la “C” ogni 500 anni e oltre. Il tutto classificato tenuto conto dei sistemi di rilevazione che, ovviamente, sono relativamente precisi solo a partire dall’’800. Ma alluvioni nella zona del Bisagno, ad esempio, sono registrate negli annali genovesi fin dal XIV secolo.
«L’80% delle opere idrauliche esistenti nel territorio cittadino - ha osservato Tizzoni - sono insufficienti, perché Genova, fin dal più lontano passato, è stata costruita su presupposti inadeguati. Si pensi che nel 1936 nell’alveo dello Sturla, largo a monte oltre 20 metri, venne costruito un ponte, all’altezza di viale Cembrano, di soli 9,80 metri. Lo Sturla è stato riportato alla normalità solo con i lavori recenti». In sostanza, lo sviluppo della città, nel passato, non ha tenuto conto della possibile eccezionalità dei fenomeni meteorologici - peraltro fortemente mutati negli ultimi anni con lo sviluppo di fortissime celle temporalesche che coprono aree di pochi chilometri - e della loro ricorrenza, sia pure nell’arco di decenni o di secoli. In ogni caso, ha sottolineato Tizzoni, le situazioni verificatesi il 4 novembre erano ricomprese nelle previsioni dei piani di bacino.
Il Bisagno è ovviamente una delle aree più delicate del territorio cittadino. Molto importanti sono stati i lavori di rifacimento della copertura, che hanno aumentato la portata ed evitato il ripetersi di una situazione che avrebbe potuto essere del tutto simile a quella del ‘70. «Per il Bisagno - ha ricordato l'ingegnere - erano state prese in considerazione tutte le possibili soluzioni, fino al completo scoperchiamento della copertura finale, che però sarebbe del tutto impraticabile per la normale vita della città».
Si è scelta così la strada della rifunzionalizzazione della copertura, con la quale si è abbassato di 1,80 m l’alveo del fiume, assottigliando la copertura stessa, mentre la larghezza non si è potuta toccare perché l’alveo di 48 metri degli anni ‘30 confina con le cantine e le fondamenta di palazzi e negozi. Si è arrivati così ad una portata di 850 metri cubi/secondo. Grazie al completamento della ristrutturazione fino all’area della Questura, e considerato che un “pennello” collocato alla Foce ha consentito di non risentire delle condizioni del mare (come era invece successo nel ‘70), si è passati nel giro di pochissimo tempo da una portata di 450 metri cubi ad una di oltre 750.
La scopertura totale del Bisagno? Soluzione incompatibile
Considerato che per il Fereggiano l’evento si colloca nella fascia di ricorrenza fra i 50 e i 200 anni, e per lo stesso Bisagno siamo nella fascia di ricorrenza dei 100 anni (come quella del ‘70 con i suoi 900 metri cubi/secondo), si può dire che l’adeguamento della copertura ha evitato problemi molto maggiori. Se il rifacimento della copertura fosse stato ultimato fino a Brignole, il Bisagno non sarebbe uscito. Il ponte della Ferrovia, da molti indicato come un possibile “tappo”, in realtà è più alto della copertura. Il piano stradale arriva, infatti, a circa metà del raggio del ponte. Ma, appunto, una soluzione radicale che preveda la scopertura totale del Bisagno - come alcuni esperti avevano proposto nei giorni seguenti il 4 novembre - sarebbe incompatibile con la vita della città.
Si è parlato a lungo anche delle varie soluzioni individuate nel tempo per la realizzazione del famoso canale scolmatore sul Bisagno e sul Fereggiano. La soluzione individuata interesserebbe i torrenti Rio Noce, Rio Rovare e Fereggiano, portando via altri 450 metri cubi/sec. e non impoverendo la falda acquifera del Bisagno che alimenta l’acquedotto. Il canale sfocerebbe in corso Italia, all’altezza dei bagni Marinella, per una lunghezza totale di 6,5 km e una larghezza di 9 metri.
Tasto dolente i soldi. Finora nel rifacimento della copertura del Bisagno sono stati investiti 105 milioni di euro e i lavori arriveranno fino all’altezza di via Santa Zita. Per il completamento fino a Brignole servirebbero altri 90 milioni di euro; per il canale scolmatore, invece, circa 200 milioni di euro. Risorse per le quali non può bastare il Comune, ovviamente, e che devono arrivare dallo Stato, il quale recentemente non ha dato risposte, anche se, come ha sottolineato Tizzoni, i diversi governi non hanno ignorato, per quanto possibile, le esigenze della città.
In totale, per mettere complessivamente in sicurezza tutto il sistema idrologico genovese, servirebbero circa 500 milioni di euro, considerate le diverse problematiche, come l’utilizzo di molti rivi, in particolare nel centro storico, nell’ambito della rete fognaria della città. Alcune zone, ad esempio via Orefici, Macelli di Soziglia, e altre, sono sicuramente critiche. «Adeguare alle portate attuali cunicoli come quelli - ha osservato Tizzoni - è difficile». L’ingegnere ha poi ricordato altre zone (Veilino e Geirato) dove il Comune, con risorse proprie, ha già investito 2 milioni di euro, realizzando tombinature che hanno consentito la messa in sicurezza.
Aggiornamento annuale per i piani di bacino
Da non sottovalutare il fatto che i piani di bacino prevedono un aggiornamento annuale. A questo proposito, le ultime modifiche hanno riguardato i movimenti franosi. Ora si deve lavorare sull’adeguamento delle previsioni in termini di portata, alla luce dei recenti fenomeni atmosferici. Ma, soprattutto, è fondamentale proseguire nei lavori di messa in sicurezza, concentrandosi sulle opere più urgenti rispetto ai rischi, tra cui il completamento del rifacimento della copertura del Bisagno e il canale scolmatore.
Laddove l’evento alluvionale superasse le previsioni di ricorrenza e quindi la messa in sicurezza non bastasse, interviene il piano di Protezione Civile. «Dove l’azzeramento dei rischi non è completato con i lavori - ha detto Franco Gambelli - lo si limita con la Protezione Civile. Ogni cittadino, in una situazione che potrebbe comportare dei rischi, deve rendersi conto del pericolo e adottare norme conseguenti di comportamento e autotutela. Ogni anno a Genova viene realizzata una capillare campagna informativa; sono state censite 35 frane e tutte le persone residenti in quelle zone sono state informate. Certo, quando l’opera di sensibilizzazione investe aree con 100 mila persone, come nel caso del Bisagno, lo sforzo va al di là di quello che può fare un sindaco, e coinvolge Prefettura e Regione, come previsto dalla legge (il cosiddetto scenario B della legge 295/92)».
Dalla Commissione il riconoscimento del buon lavoro svolto
Nel dibattito seguito all’intervento di Tizzoni, Pinasco e Gambelli sono intervenuti, fra gli altri, i consiglieri Murolo, Cappello, Luciano Grillo, e il noto geologo prof. Claudio Eva. Tutti hanno riconosciuto la completezza dei dati, e, con diverse sfumature, lo sforzo che è stato fatto (in una situazione comunque eccezionale), ed è ancora in corso, per affrontare le criticità. Il 7 febbraio la Commissione farà un sopralluogo nelle zone interessate e consegnerà la propria relazione finale al Consiglio comunale entro il 4 marzo.