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“Patto cittadino”: ci riusciremo
se perderemo l'individualismo

Il dibattito dopo la riflessione lanciata dall'assessore Andrea Ranieri. Il Segretario dell'IIC: «Abbiamo bisogno di essere, e crederci, più italiani ed europei, di avere senso di appartenenza. E avviare un profondo processo di riordino»

Alberto Cappato
Quarant’anni, responsabile di uno storico ente genovese di studio e ricerca, docente di economia all’Università (a contratto) ed esperto nel settore dei trasporti, sposato, due figli piccoli (uno sta iniziando a camminare in questi giorni di vacanza in montagna), ma soprattutto genovese; di quelli che hanno deciso, almeno fino ad ora pur avendo studiato, lavorato e vissuto all’estero, di restare per offrire il proprio contributo di idee, progetti e competenza al proprio Paese (quello con la “p” maiuscola), ma soprattutto alla propria città: Genova.

Una città che molto ha dato e può dare al Paese, una città laboratorio di idee, progetti, esperienze; una città capace, come i suoi abitanti, di trasformarsi senza perdere la propria dignità e senza rinnegare il proprio passato. Una città fiera e concreta, complessa e straordinaria, ma con un forte potenziale di innovazione ed un bagaglio di esperienze invidiabile nel “saper fare”. Nonostante tutto questo spesso mi sono chiesto e ci chiediamo con mia moglie: «È questo il Paese dove far crescere i nostri figli?. Un Paese che possa offrire loro opportunità di studio, crescita culturale, sana competizione, lavoro, con valori sani di tolleranza, attenzione ai meno fortunati, rispetto delle regole e che sia capace di premiare i “migliori”, coloro che con spirito di sacrificio e con impegno, indipendentemente dalla classe sociale di provenienza, siano in grado di raggiungere posizioni di responsabilità sia nel pubblico, sia nel privato e sia capace di valorizzare tutti secondo le capacità di ciascuno. La risposta a questa domanda oggi è, purtroppo (almeno per noi), lontana dall’essere affermativa e da genitori responsabili e, forse, da padre un po’ ansioso, alterno sentimenti tra loro combattuti, sintetizzabili in due diverse e opposte linee di azione: via e presto (!) oppure resta e fai del tuo meglio per migliorare la situazione, affinché sia possibile vivere meglio nel proprio Paese.

Ecco, oggi più che mai, siamo vicini al punto di non ritorno e, come scrive Andrea Ranieri, in pochi sembrano esserne consapevoli. L’egoismo e lo spirito di sopravvivenza spingono ciascuno di noi a difendere il proprio set di diritti acquisiti, privilegi, abitudini non sempre virtuose e sostenibili, etc, senza che si intraveda un disegno strategico del Paese (che oggi non c’è), senza una regia sana ed equilibrata che sia in grado di unire la nazione, senza che i singoli individui possano ciascuno contribuire a realizzare un percorso condiviso, smettendo di improvvisare e gestire il giorno per giorno, che equivale, data la situazione, a passare da una emergenza ad un’altra. La situazione economica internazionale è estremamente preoccupante, i disastri generati dalla speculazione finanziaria (che alla fine impattano sempre sulla pelle dei più deboli) bruciano opportunità e possibilità di investimenti per lo sviluppo. Il nulla vince sul concreto, è questa la tragedia di questa crisi, incredibile per l'agente razionale della teoria economica, ma sempre più vero nel mondo reale.

È quindi più che mai necessario (se non ora quando?) quel patto per lo sviluppo di cui Ranieri sintetizza con efficacia i capisaldi: innovazione, produttività, qualità ai quali io aggiungerei un pizzico di senso civico in più e la consapevolezza che soltanto unendo le forze, come nel periodo della concertazione citato da Ranieri, possa nascere un progetto condiviso per uscire dal baratro.

L’Italia è un Paese strano, ha risorse nascoste (e non mi riferisco al sommerso, che andrebbe eliminato) che riesce a tirar fuori quando nessuno più se l’aspetta e al cosiddetto photofinish; almeno fino ad oggi questo miracolo è avvenuto e siamo riusciti a restare in piedi, ad entrare in Europa, a reggere i primi attacchi speculativi, etc., ma nel mondo globale, nel quale la crisi di un Paese può scatenare a catena disastri su scala ben più ampia, il nostro destino è meno di un tempo nelle nostre mani. In questo scenario difficile, le città rappresentano (un po’ come le famiglie se si ragiona su di una scala diversa) un nucleo base dal quale partire per ristrutturare il Paese (la Società). Le città dove i cittadini sono più vicini agli amministratori ed il senso delle istituzioni forse è più forte, se non altro perché l’amministrazione è più vicina e visibile. Dalle città può partire, forse tornando un po’ indietro nella storia della Penisola, un processo di riordino, crescita e sviluppo sostenibile che il Paese potrà fare proprio, per avviare una sorta di secondo Rinascimento. È questo di cui abbiamo bisogno, dobbiamo crederci e dobbiamo essere più Italiani (ed aggiungo europei) con quel senso di appartenenza che rende più forti. Spero che saremo in grado di dare questo ennesimo “colpo di reni” per indirizzare il nostro destino nella direzione giusta se possibile con lo stesso impegno e concentrazione che vedo negli occhi di mio figlio che affrontando, in questi giorni, la sfida dei suoi primi passi in autonomia ha gli occhi e lo sguardo pieno di entusiasmo!

* L'autore si definisce “genovese, italiano, europeo”.  È segretario generale IIC - Istituto Internazionale delle Comunicazioni
Genova, 5 agosto 2011
Ultimo aggiornamento: 09/08/2011
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