Appena metti piede fuori dal treno la distesa di fango non può che entrarti dentro. Ti manca quasi il respiro guardando quell’infinita lingua di terra che si distende davanti a tuoi occhi. Eppure, non ti sei ancora accorto di niente. Devi scendere su quel solido mare marrone, scorgere i segni di una vita quotidiana che non c’è più. Solo a quel punto realizzi che stai camminando all’altezza dei secondi piani delle case e che quei piccoli numeri ai bordi della strada, sporchi di terra, altro non sono che i numeri civici degli edifici che sembrano arrampicarsi a cercare l’ultimo spiraglio di ossigeno. Sotto i tuoi piedi, chissà cosa c’è. Il sole al tramonto sembra essere uno scherzo: la bellezza e l’armonia della natura ti intontiscono, facendosi beffe della sofferenza dell’uomo. Lì per lì non capisci, non puoi capire perché solo con il passare dei minuti inizi a cogliere l’essenza di un paese ormai deserto. Deserto, sì, perché sono tutti laggiù, in piazza, a pochi metri dall’acqua, a cercare di liberarsi il prima possibile da quell’inferno, sporco e appiccicoso. C’è molto da fare, non c’è tempo da perdere: sembra quasi di essere stati di colpo catapultati in un cantiere notturno con ruspe, cingolati, persone imbrattate fino ai capelli, viveri che arrivano via acqua e qualcuno che con discrezione prepara la cena per tutti. Agli angoli di uno dei più suggestivi scorci della costa ligure, due piccole botteghe risorte dal fango distribuiscono bevande calde e generi di conforto a chiunque abbia bisogno di un attimo di riposo dal logorante tentativo di resurrezione. In quel momento i tuoi pensieri, le tue riflessioni si bloccano: com’è possibile che sembrino tutti così tranquilli? Nessuno appare sopraffatto dalla disperazione, come più tardi proveranno a spiegarci Margherita e Caterina.
Con la Protezione Civile a Memola - L’antipasto era stato servito già al mattino. Partiti ancor prima dell’alba con la Protezione Civile del Comune di Genova, ci fermiamo al centro di coordinamento avanzato di Borghetto Vara come tutte le squadre di volontari, in attesa di essere smistate dove occorre. C’è confusione, come prevedibile: la lista degli interventi necessari e richiesti è infinita, i volontari sono migliaia, provenienti da tutto il paese; coordinare questa macchina è difficile e caotico. Dopo circa un’ora siamo stati destinati al paesino di Memola, assieme a una piccola squadra di volontari siciliani, arrivati da Ragusa: ci attende una valle dove un affluente del Vara è esondato, distruggendo strade, ponti, boschi, con case completamente isolate e allagate. La squadra a cui siamo ci siamo aggregati ha ricevuto il compito di sgombrare dal fango un noto ristorante della zona, punto di riferimento di quella che era una vera e propria oasi di pace, con tanto di laghetto per le trote. Arrivati, i volontari si mettono subito all’opera, mentre noi proviamo a capire che cosa è successo pochi giorni prima. Enzo, del gruppo di volontari di ponente, guida il vicesindaco di Beverino su è giù per la vallata, a raccogliere segnalazioni e monitorare i lavori. Il paesaggio è sconcertante: il sole splende, dolce e caldo, mentre ovunque giacciono decine di migliaia di tronchi spezzati e detriti vari e le strade sono crollate. Un gruppo di ragazzi giunto da Roma aspetta da ore di sapere che fare, altri richiedono ruspe per rinforzare un argine: la situazione è decisamente caotica e sembra difficile capire chi fa cosa, perché e per chi, e cosa si deve fare e con che mezzi. In questa valle ci sono solamente squadre di volontari, irriducibili di fronte alla fatica e al fango. Arriva l’ora di pranzo, e spuntano pasta al sugo, salumi e vino, salvati dalla furia del cielo: la tragedia accumuna le persone e mettere qualcosa sotto i denti crea lo spazio per scambiarsi ricordi e aspettative.
Il viaggio verso il mare - Dopo pranzo, salutiamo i volontari e a piedi ci dirigiamo verso la statale per La Spezia, prendendo la provinciale che fino ad una settimana fa collegava questi splendidi angoli di bellezza. Il cammino è surreale: silenzio e devastazione, detriti, crolli, frane; sui nuovi argini del fiume spuntano resti della vita che conosciamo, con pezzi di automobili, oggetti, carcasse di animali, tronchi giganteschi. Superiamo un paio di ponti crollati e ci facciamo raccogliere da un boscaiolo della zona; mentre ci accompagna, racconta la sua alluvione: il fiume gli ha portato via la legna di un’annata intera e ora non può nemmeno toccare i tronchi, sparsi ovunque, per via delle normative legate alle calamità. Il futuro non sembra facile, ma comunque ci sarà. Eccoci poi sulla corriera verso il capoluogo: superato il cartello che indica Riccò del Golfo, i segni della devastazione spariscono come d’incanto e la vita scorre tranquilla e dolce, come sempre. Arriviamo in città, pochi minuti ed saliamo sul treno per Vernazza. Il paese è chiuso e le notizie che trapelano parlano di situazione spaventosa e ancora pericolosa. Le immagini già le abbiamo viste in rete, ma quello che ci aspetta sarà veramente un altro spettacolo, terribile e silenzioso.
Caterina, Margherita e il fango di Vernazza - «È la prima volta che mi emozionerò veramente per l’acqua corrente – ci racconta Caterina – non vedo l’ora di potermi infilare sotto la doccia». Caterina e Margherita le abbiamo conosciute quasi per caso sul treno del ritorno a casa, dopo uno “scontro” con i controllori che per un eccesso di zelo non volevano far salire le ragazze se non dopo il pagamento di un biglietto di 50 euro a testa (Intercity Sestri Levante - Genova Principe), nonostante fossero munite di documento rilasciato dal Comune di Vernazza che attestava la loro presenza in loco per aiutare il paese a uscire dal fango. «Non è che si potrebbero già vedere le foto?» chiede Margherita. Ci vuole poco perché le due giovani prendano un po’ di confidenza e inizino a raccontarci le storie di chi da giorni si è ritrovato d’improvviso all’inferno. «Wow! L’ho tirato fuori io quel joystick stamattina» esclama Caterina guardando un nostro scatto. Così le foto di una tragedia si trasformano quasi per magia in una sorta di album di ricordi. Parlando con loro, scopriamo che il mare marrone ha portato con sé verso il porticciolo due parcheggi, costruiti di recente a monte del canale: le pietre del riempimento le stanno trovando ovunque a Vernazza. Sicuramente in poche ore è piovuta la quantità di acqua che solitamente precipita in mesi e mesi, ma ridimensionare il passaggio del torrente sotto il nuovo piazzale non deve essere stata una buona idea.
Le ragazze raccontano di casa loro, sulle alture, salva anche se isolata e senza più giardino e strada, e ricordano alcuni episodi di quelle ore: «Ad esempio – racconta Caterina – mentre la cascata di fango portava con sé tutte le auto, ai bordi del parcheggio principale è rimasta al suo posto, intonsa e pulita, una canoa bianca, che è ancora lì». «Vedete – spiega Margherita che continua ad osservare con attenzione le nostre foto – in quel bar hanno rischiato di perdere la vita un sacco di persone. Martedì doveva essere di turno la padrona ma siccome era l’anniversario della morte della figlia non se l’è sentita di andare in negozio. È stata una fortuna che quando il fiume di fango ha intasato l’uscita, dietro al bancone si trovasse il marito: lui era l’unico a sapere che tra le mura solide delle pareti circostanti, ce n’era una appena ristrutturata e non portante che sono riusciti sfondare dall’interno e che ha consentito a tutti di mettersi in salvo». La tragedia si è consumata in maniera rapida e inesorabile e non tutti si sono immediatamente accorti della catastrofe. In piazza, c’era chi invece di mettersi in salvo pensava a togliere il primo fango dai tavoli e dalle sedie dei bar. Le stesse sedie su cui in questi giorni tutti i volontari cercando un istante di riposo, perché la vita a Vernazza prova ad andare avanti: «Pensate che sabato sera, dopo esserci puliti per benino qualche bottiglia di birra, abbiamo pure tentato di vedere la partita». Sintomo della serenità con cui abitanti e abituali villeggianti stanno affrontando il disastro: «È vero siamo tutti tranquilli - riconoscono con grande maturità le due ragazze - ma è davvero l’unico modo per farcela». Mentre raccontano, le immagini della giornata scorrono nella nostra mente: i tavoli del ristorante di Mamole ripuliti dal fango e i tavoli accatastati dalle ruspe dove otto giorni fa c’era il porticciolo di Vernazza, le case allagate vicino ai fiumi, e le case sotto il fiume di terra, la determinazione di tutti a riprendere a vivere. Manca la disperazione, mancano i perché e le relative risposte, ma forse non è ancora il momento: dopo si piangerà, dopo si capirà in che cosa l’uomo sbaglia e perché tutto questo sia potuto accadere. Ora si spala e basta.
Genova Principe, scendiamo. La nostra lunga giornata è finita. Salutiamo Margherita e Caterina con una promessa: con o senza telecamera e macchina fotografica, torneremo presto.
Con la Protezione Civile a Memola - L’antipasto era stato servito già al mattino. Partiti ancor prima dell’alba con la Protezione Civile del Comune di Genova, ci fermiamo al centro di coordinamento avanzato di Borghetto Vara come tutte le squadre di volontari, in attesa di essere smistate dove occorre. C’è confusione, come prevedibile: la lista degli interventi necessari e richiesti è infinita, i volontari sono migliaia, provenienti da tutto il paese; coordinare questa macchina è difficile e caotico. Dopo circa un’ora siamo stati destinati al paesino di Memola, assieme a una piccola squadra di volontari siciliani, arrivati da Ragusa: ci attende una valle dove un affluente del Vara è esondato, distruggendo strade, ponti, boschi, con case completamente isolate e allagate. La squadra a cui siamo ci siamo aggregati ha ricevuto il compito di sgombrare dal fango un noto ristorante della zona, punto di riferimento di quella che era una vera e propria oasi di pace, con tanto di laghetto per le trote. Arrivati, i volontari si mettono subito all’opera, mentre noi proviamo a capire che cosa è successo pochi giorni prima. Enzo, del gruppo di volontari di ponente, guida il vicesindaco di Beverino su è giù per la vallata, a raccogliere segnalazioni e monitorare i lavori. Il paesaggio è sconcertante: il sole splende, dolce e caldo, mentre ovunque giacciono decine di migliaia di tronchi spezzati e detriti vari e le strade sono crollate. Un gruppo di ragazzi giunto da Roma aspetta da ore di sapere che fare, altri richiedono ruspe per rinforzare un argine: la situazione è decisamente caotica e sembra difficile capire chi fa cosa, perché e per chi, e cosa si deve fare e con che mezzi. In questa valle ci sono solamente squadre di volontari, irriducibili di fronte alla fatica e al fango. Arriva l’ora di pranzo, e spuntano pasta al sugo, salumi e vino, salvati dalla furia del cielo: la tragedia accumuna le persone e mettere qualcosa sotto i denti crea lo spazio per scambiarsi ricordi e aspettative.
Il viaggio verso il mare - Dopo pranzo, salutiamo i volontari e a piedi ci dirigiamo verso la statale per La Spezia, prendendo la provinciale che fino ad una settimana fa collegava questi splendidi angoli di bellezza. Il cammino è surreale: silenzio e devastazione, detriti, crolli, frane; sui nuovi argini del fiume spuntano resti della vita che conosciamo, con pezzi di automobili, oggetti, carcasse di animali, tronchi giganteschi. Superiamo un paio di ponti crollati e ci facciamo raccogliere da un boscaiolo della zona; mentre ci accompagna, racconta la sua alluvione: il fiume gli ha portato via la legna di un’annata intera e ora non può nemmeno toccare i tronchi, sparsi ovunque, per via delle normative legate alle calamità. Il futuro non sembra facile, ma comunque ci sarà. Eccoci poi sulla corriera verso il capoluogo: superato il cartello che indica Riccò del Golfo, i segni della devastazione spariscono come d’incanto e la vita scorre tranquilla e dolce, come sempre. Arriviamo in città, pochi minuti ed saliamo sul treno per Vernazza. Il paese è chiuso e le notizie che trapelano parlano di situazione spaventosa e ancora pericolosa. Le immagini già le abbiamo viste in rete, ma quello che ci aspetta sarà veramente un altro spettacolo, terribile e silenzioso.
Caterina, Margherita e il fango di Vernazza - «È la prima volta che mi emozionerò veramente per l’acqua corrente – ci racconta Caterina – non vedo l’ora di potermi infilare sotto la doccia». Caterina e Margherita le abbiamo conosciute quasi per caso sul treno del ritorno a casa, dopo uno “scontro” con i controllori che per un eccesso di zelo non volevano far salire le ragazze se non dopo il pagamento di un biglietto di 50 euro a testa (Intercity Sestri Levante - Genova Principe), nonostante fossero munite di documento rilasciato dal Comune di Vernazza che attestava la loro presenza in loco per aiutare il paese a uscire dal fango. «Non è che si potrebbero già vedere le foto?» chiede Margherita. Ci vuole poco perché le due giovani prendano un po’ di confidenza e inizino a raccontarci le storie di chi da giorni si è ritrovato d’improvviso all’inferno. «Wow! L’ho tirato fuori io quel joystick stamattina» esclama Caterina guardando un nostro scatto. Così le foto di una tragedia si trasformano quasi per magia in una sorta di album di ricordi. Parlando con loro, scopriamo che il mare marrone ha portato con sé verso il porticciolo due parcheggi, costruiti di recente a monte del canale: le pietre del riempimento le stanno trovando ovunque a Vernazza. Sicuramente in poche ore è piovuta la quantità di acqua che solitamente precipita in mesi e mesi, ma ridimensionare il passaggio del torrente sotto il nuovo piazzale non deve essere stata una buona idea.
Le ragazze raccontano di casa loro, sulle alture, salva anche se isolata e senza più giardino e strada, e ricordano alcuni episodi di quelle ore: «Ad esempio – racconta Caterina – mentre la cascata di fango portava con sé tutte le auto, ai bordi del parcheggio principale è rimasta al suo posto, intonsa e pulita, una canoa bianca, che è ancora lì». «Vedete – spiega Margherita che continua ad osservare con attenzione le nostre foto – in quel bar hanno rischiato di perdere la vita un sacco di persone. Martedì doveva essere di turno la padrona ma siccome era l’anniversario della morte della figlia non se l’è sentita di andare in negozio. È stata una fortuna che quando il fiume di fango ha intasato l’uscita, dietro al bancone si trovasse il marito: lui era l’unico a sapere che tra le mura solide delle pareti circostanti, ce n’era una appena ristrutturata e non portante che sono riusciti sfondare dall’interno e che ha consentito a tutti di mettersi in salvo». La tragedia si è consumata in maniera rapida e inesorabile e non tutti si sono immediatamente accorti della catastrofe. In piazza, c’era chi invece di mettersi in salvo pensava a togliere il primo fango dai tavoli e dalle sedie dei bar. Le stesse sedie su cui in questi giorni tutti i volontari cercando un istante di riposo, perché la vita a Vernazza prova ad andare avanti: «Pensate che sabato sera, dopo esserci puliti per benino qualche bottiglia di birra, abbiamo pure tentato di vedere la partita». Sintomo della serenità con cui abitanti e abituali villeggianti stanno affrontando il disastro: «È vero siamo tutti tranquilli - riconoscono con grande maturità le due ragazze - ma è davvero l’unico modo per farcela». Mentre raccontano, le immagini della giornata scorrono nella nostra mente: i tavoli del ristorante di Mamole ripuliti dal fango e i tavoli accatastati dalle ruspe dove otto giorni fa c’era il porticciolo di Vernazza, le case allagate vicino ai fiumi, e le case sotto il fiume di terra, la determinazione di tutti a riprendere a vivere. Manca la disperazione, mancano i perché e le relative risposte, ma forse non è ancora il momento: dopo si piangerà, dopo si capirà in che cosa l’uomo sbaglia e perché tutto questo sia potuto accadere. Ora si spala e basta.
Genova Principe, scendiamo. La nostra lunga giornata è finita. Salutiamo Margherita e Caterina con una promessa: con o senza telecamera e macchina fotografica, torneremo presto.