Il Teatro dell’Ortica ci aiuta a conoscere le nostre radici.

Il 29 Novembre 2014 è stato rappresentato “Il viaggio di Andalò da Savignone sulla via della seta”. Una produzione del Teatro dell’Ortica. Lo spettacolo è tratto dall’omonimo romanzo di Giovanni Meriana, gli interpreti sono Mirco Bonomi e Mauro Pirovano che ne curano anche la regia.

La storia narra le avventure di Andalò, un giovane che decide di partire da Savignone, suo paese natale, e di intraprendere un viaggio che lo porterà fino in Mongolia, dove diventerà ambasciatore dell’Imperatore presso il Seggio Pontificio di Avignone, ripercorrendo in modo quasi identico il viaggio di Marco Polo.

Lo spettacolo è stato rappresentato nella sede storica dell’ex Cral Amga, dove si trovano dei graffiti di Emanuele Luzzati, aprendo la sezione “Teatro e Territorio” della Stagione 2014 – 2015 del Teatro dell’Ortica. Ma come è nata l’idea dello spettacolo? “Questo spettacolo in realtà ha più di dieci anni, quindi ha avuto un’evoluzione”, spiega Mirco Bonomi, “Nasce perché Mauro Pirovano mi presentò Giovanni Meriana, storico, che da poco aveva finito il suo mandato come Assessore al Comune di Genova e mi è piaciuto molto perché è una persona di altri tempi, molto particolare.

Quindi mi sono appassionato anzitutto alla Persona. Quando ho letto il libro mi è piaciuto, anche perché, mi permetteva di inserirci altre cose, infatti nel testo si trovano un paio di citazioni, aggiunte da me, di Guccini e De Andrè”. “Il libro”, continua Bonomi, “è ricco di contenuti in qualche modo pacifisti e questo mi interessa. Il testo teatrale è volutamente in genovese, da me personalmente tradotto, ed in italiano anche per favorire, in qualche modo, un approccio alla lingua, il dialetto genovese, da parte dei giovani. Nella prima fase, in cui ho lavorato con due attori diversi, in tempi differenti, lo spettacolo era strutturato con me che interpretavo le parti di Andalò, di Nicola e spesso anche del narratore, mentre l’altro attore faceva il servo di scena.

Quando l’anno scorso era nata l’idea di rifarlo, lo spettacolo è stato un po’ modificato perché Mauro ha pensato di realizzarlo impersonando lui Meriana, quindi è diventato l’autore che in scena costruisce il suo libro”. “È uno spettacolo tratto da libro di Giovanni Meriana, che è un mio amico”. Ci tiene a sottolineare il poliedrico Mauro Pirovano “. Tutti i suoi lavori sono molto teatrabili, come ad esempio Cereghino e Pane Azzimo. Anni fa si pensava che potessi farlo io, ma avendo altri impegni, ai tempi in cui c’erano impegni, lo fece Mirco. Per questa rappresentazione lo abbiamo un po’ riveduto. Io interpreto Giovanni, ne sono onorato perché per me è un gran signore. Abbiamo utilizzato il dialetto perché era la lingua della mercatura; il Genovese si parlava quindi in tutto il mediterraneo.

E’ stata una ricerca colta della nostra lingua, perché il Genovese è una lingua”. Uno spettacolo con una scenografia minimale, ma molto efficace, che gioca molto sull’utilizzo di diversi linguaggi, sapientemente interpretati. Dalle parole dell’interprete si percepisce una particolare affezione ad Andalò, che è il personaggio intorno a cui si sviluppa tutta la storia. “Lo spettacolo”, ci raccontano Bonomi e Pirovano, “inizialmente era abbastanza semplice, la scelta era stata quella di usare l’italiano per raccontare gli avvenimenti, gli eventi, i passaggi epocali e di usare il genovese nei dialoghi, nelle considerazioni e nei commenti.

Adesso non sono più solo io che interpreto questi personaggi, ma lo stesso lo fa anche Mauro che non narra solamente ma ricopre anche altri ruoli. Siamo oggi, da questo punto di vista, alla verifica dei fatti di questa evoluzione”. Verifiche che passano anche dal territorio, infatti l’Ortica è uno dei teatri che svolgono molteplici attività sociali e promozionali sul territorio ed in particolare nella Val Bisagno, una realtà che nonostante i tagli dei fondi alla cultura, riesce, per dare a tutti l’opportunità ,a tenere il costo del biglietto a cinque euro. “Siamo nati nel 1996 ma siamo diventati compagnia teatrale professionista intorno al 2005 – 2006, quindi molto in ritardo rispetto agli altri teatri che si erano già sviluppati e ben organizzati da tutti i punti di vista, per cui fin da subito non abbiamo avuto grandi risorse. Da questo punto di vista siamo abituati a fare “le nozze con i fichi secchi”, a realizzare con pochissimo; il che non è una bella cosa perché impedisce di creare e sviluppare quegli elementi organizzativi che sono adesso indispensabili. In questo momento senza un sussidio pubblico degno di questo nome, un sussidio pubblico, in qualche maniera più onesto, più corretto di quello che è, è impensabile che si possa andare avanti ancora per molto. Il Teatro patisce tantissimo, noi andiamo avanti per quanto riguarda tutto quello che è legato alla formazione ed al teatro sociale che è, per certi versi, un teatro nuovo e che raccoglie le richieste ed il coinvolgimento di persone, ma tutto il resto fa una fatica terrificante a proseguire”.

Fra le vostre attività c’è sicuramente quella di promuovere lo spettacolo ma anche il territorio, siete gli ideatori del Festival dell’Acquedotto uno dei simboli della storia della città ma in particolare della Val Bisagno, per voi è anche un modo per riuscire ad uscire dalla crisi? “Il termine stesso di crisi significa proprio questo, è un momento in cui puoi cambiare, devi cambiare, devi trasformarti, devi crescere e svilupparti”, risponde Bonomi con fermezza, “Certo bisogna capire anche in che modo. Personalmente faccio molta fatica a trovare una nuova via, perché, anche le cose che funzionano, come il teatro sociale, nel nostro caso il teatro con Stranità, con la Salute Mentale, i detenuti e recentemente con donne maltrattate non funzionano se non sono supportate. Non ti consentono di lavorare con continuità: fai due o tre spettacoli, funzionano bene, si ottengono anche dei buoni incassi ma non si riesce ad andare oltre. Ci vorrebbe altro, un rapporto più forte sia col pubblico che col privato, ma in questo momento, contemporaneamente, il pubblico è molto spesso assente ed il privato ha sempre più difficoltà ad investire nella cultura.

In sono convinto che le periferie vadano messe al centro. In tutta la Val Bisagno vi sono grandi bellezze proprio come l’Acquedotto Storico di Genova, che potenzialmente è un grande bacino anche per il turismo; però tutto ciò va sostenuto sia per quanto riguarda i necessari interventi di recupero delle strutture dell’acquedotto, sia rispetto alla promozione di un festival che è poco aiutato. L’Acquedotto è una grossa opportunità perché è veramente poco conosciuto, potrebbe offrire la possibilità di ospitare lavori tutto l’anno e non solo nei mesi estivi, potrebbe essere messo in relazione con acquedotti di altre città creando eventi interregionali. Non è certo pensabile che una piccola compagnia di 8/9 persone possa reggere una tale organizzazione, quindi, o i soggetti istituzionali deputati allo scopo se ne fanno carico, oppure ci mettono nella condizione di poterla concretizzare”.

Concretizzare azioni e sviluppo culturale sono gli intenti del teatro dell’Ortica ma in particolare di Mauro Pirovano che ribadisce il suo attaccamento al territorio. “Ci sono nato, ci vivo e mi farebbe piacere che le persone che ci stanno vivendo, vivessero in un modo culturalmente più elevato. Ho questa presunzione, sono un portatore sano di cultura. Poi vi sono affezionato, ho vissuto un po’ a Roma, però, poi mi mancavano le radici e quindi sono tornato”. In questa rappresentazione Mirco Bonomi interpreta Andalò ed il suo compagno di viaggio ed amico Nicola mente Mauro Pirovano assume il ruolo dell’autore del libro, Giovanni Meriana, e dei vari personaggi che il protagonista incontra durante il suo viaggio. Varietà linguistiche e modulazioni di tono differenziano i diversi ruoli che di volta in volta vengono interpretati.

Pur nella scarna ed essenziale rappresentazione coreografica, attraverso l’uso della voce, dell’espressione e del rapido alternarsi dei ruoli, prende vita l’immagine del viaggio che però, per la sua natura, forse avrebbe richiesto un po’ più di dinamicità. Mirco Bonomi rende il personaggio di Andalò come un ragazzo idealista e riflessivo nonostante la giovane età. Pacifista convinto, quando afferma “ma come può un uomo uccidere un suo fratello” (citazione tratta dalla canzone “Auschwitz” di Francesco Guccini), rivela senza dubbio un pensiero non diffuso per l’epoca in cui è ambientato il racconto. Altrettanto credibile lo ritroviamo nel ruolo di Nicola, più concreto e pratico, rimandando, allo spettatore, l’immagine di un ragazzo di campagna semplice e di sentimenti buoni e genuini. Nonostante le notevoli differenze che intercorrono tra questi due personaggi, nello spettacolo, sono stati resi senza una significativa distinzione nell’impostazione del timbro della voce.

Mauro Pirovano è l’autore sul palcoscenico, il narratore che ci accompagna durante questo interessante viaggio. Attraverso lo snodarsi del racconto costruisce i personaggi che incontreremo. Essi prenderanno vita sotto i nostri occhi nel momento in cui; lui stesso; cesserà di essere l’autore e li rappresenterà. Attore poliedrico, riesce a passare con facilità da un ruolo all’altro. Estremamente interessanti risultano essere i suggerimenti di Pirovano autore ai tecnici audio e video circa l’ambiente, che simboleggiano ulteriormente l’atto di costruzione del libro. Senza pedanteria nelle vesti di Giovanni Meriana e con vive caratterizzazioni, quando interpreta gli altri personaggi che porta sulla scena, risulta totalmente convincente.

Mirco Bonomi ha curato la drammaturgia, traducendo, inoltre, delle parti in genovese. La scelta di utilizzare il dialetto, lingua della mercatura, nei dialoghi, lasciando invece l’italiano come lingua della narrazione, rende i primi molto più vivi e reali. La scenografia comprende una vela con raffigurate sopra una carta topografica dell’epoca del viaggio, due sedie, un tavolino, un baule e due stendardi raffiguranti il Gran Khan ed il Pontefice. Questa semplicità, con la forza evocativa dei simboli utilizzati, stimola l’immaginazione dello spettatore che viene trasportato al tempo del racconto ed accompagnato nel viaggio dall’interpretazione dei due attori.

È coinvolgente e piacevole anche perché, raccontando di personaggi liguri, riesce a rendere più familiare e sentita la storia narrata. Lo spettacolo si presta a evoluzioni con un alto contenuto storico-culturale che merita il disagio di qualche chilometro in più per essere visto.
30 dicembre 2014
Ultimo aggiornamento: 30/12/2014
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