«Purtroppo fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce. Bisogna crederci, la speranza è l'unica rivoluzione possibile. Noi siamo la foresta che cresce». Fra le centinaia di citazioni possibili dalle 144 pagine dell’ultimo libro della coppia Gratteri-Nicaso, forse questa riesce a dare più il senso di una grumosa raccolta di lettere, temi, pensieri dedicati al crimine organizzato, firmata in maggior parte da adolescenti di tutt’Italia (ma più che altro del Sud) e titolata come un insulto: “La mafia fa schifo” (Mondadori, 17 euro).
Circa 150 contributi che al procuratore antimafia più famoso d’Italia e al criminologo calabrese che vive in Canada e insegna storia della criminalità organizzata nel Vermont, Usa, sono arrivati in mezzo a centinaia o migliaia di altri un po’ per iniziativa di scuole dopo compiti in classe e un po’ per volontà degli stessi ragazzi dopo aver visto Gratteri in una trasmissione televisiva, dopo aver letto un suo volume o partecipato a un incontro o a una presentazione in libreria. Fatto sta che ne “La mafia fa schifo” c’è un po’ di tutto: l’ingenuità, la rabbia, la voglia di costruire un futuro migliore, la paura. Parlano giovani di ogni estrazione: che non hanno mai visto un mafioso, che una volta ne hanno incontrato uno, che ne incontrano tutti i giorni, che crescono con i loro figli, che convivono con la mafiosità e la sopportano in silenzio o la malsopportano alzando qualche volta la voce, che sono figli di mafiosi, che hanno le idee confuse o le hanno fin troppo chiare.
Spesso uniti da una domanda di fondo: perché gli adulti onesti non riescono a estirpare la malapianta?
Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, che è anche giornalista, hanno tentato di rispondere presentando il libro alla libreria Feltrinelli di Genova (tappa di un tour partito dalla Calabria il 22 novembre scorso per toccare Roma e Firenze e proseguire poi verso Novara, Brescia, Milano, Reggio Emilia e Bologna: «Per i benpensanti preciso che sono in ferie - ha detto Gratteri - come tutte le volte che mi si vede in Tv»). Risposte non facili ovviamente, visto che le mafie sono da tempo un fenomeno non solo meridionale ma trasnazionale e la ‘ndrangheta calabrese è diventata una potenza mondiale nel traffico di droga, armi, nel riciclaggio di denaro e non c’è settore economico - a cominciare dall’edilizia e dal commercio - in cui non sia infiltrata. In Italia ne sanno qualcosa città come Milano, Torino, Genova, Bologna...
Nella sala della Feltrinelli di via Ceccardi - strapiena di pubblico, Vedi galleria fotografica - gli interventi dei due autori sono stati intervallati dalla proiezione delle letture di alcuni degli interventi più significativi dei ragazzi.
Ma, innanzitutto, come si fa a difendersi dai mafiosi e dalla loro cultura? Come si fa a riconoscerli?
«Purtroppo – sostengono Gratteri e Nicaso - i mafiosi sfuggono a ogni cliché. Coppola e lupara sono state sostituite da giacca e cravatta, c'è chi spara ma c'è anche chi si muove senza dare nell'occhio. Alcuni hanno la faccia innocua da brava persona, altri il ghigno beffardo di chi ha potere e denaro. Come riconoscerli? Non è facile, molte volte sono insospettabili. A Genova un boss vendeva verdure, a Pavia un altro dirigeva l'Asl e un altro ancora a Palermo faceva l'architetto».
«I ragazzi italiani - commenta Nicaso - preferiscono la consapevolezza all’indifferenza: vent’anni fa non era così. Quando avevo 6 anni uccisero il papà del mio compagno di banco e ricordo quello che disse mio nonno: l’hanno ammazzato in piazza come un cane, ma nessuno aveva visto nulla e nessuno parlò. Io allora chiesi a mia madre e lei disse che queste sono cose che non ci riguardano. Secondo me questo era un atteggiamento sbagliato e continua ad esserlo dove si manifesta: la lotta alla mafia non spetta agli altri ma a ciascuno di noi, e le lettere di questo libro lo testimoniano. I giovani cercano un coinvolgimento, vogliono capire, vogliono sapere, perché vogliono scegliere da subito da quale parte stare».
Nicola Gratteri: «In quale famiglia si nasce è fondamentale per il futuro di un bambino. Lo stesso soggetto ha il 99 per cento di probabilità di diventare una persona onesta se i suoi genitori lo sono e gli insegnano fin da piccolo i principi della legalità e lo educano con l’esempio, oppure un mafioso se la sua famiglia è mafiosa e lo forma in una cultura di illegalità. Questo ce lo insegna la storia giudiziaria. Subito dopo viene la scuola, che in particolare in questi ultimi anni è in profonda crisi, conseguenza anche di una crisi culturale della società italiana. La cultura degli ultimi 15-20 anni, nel nostro Paese, è stata creata, strutturata e manipolata dalle multinazionali, che “costruiscono” i consumi. E la fetta di cittadini che consumano di più sono quelli che non hanno soldi ma li fanno spendere ai propri genitori. Le multinazionali i mass media si concentrano sui giovani perché sono una vacca da mungere: così si creano trasmissioni televisive identiche in tutto il mondo occidentale come “Il milionario”, uguale in Italia, Germania, Stati Uniti, Canada… cambia solo la lingua. Anche le pubblicità sono le stesse e fanno consumare gli stessi prodotti. Il fine ultimo, a parte il business, è far capire ai giovani che si è accettati solo se si è ricchi e potenti. Così ci si allena ad essere valutati in base a ciò che si ha e non a ciò che si è.
A scuola oggi gli insegnanti sono poco pagati, sono poveri, non arrivano con il Suv da 50 mila euro, non hanno un tenore di vita paragonabile a quello spacciato in queste trasmissioni, quindi non rappresentano un modello vincente né loro né quello che dicono. Ed ecco che i messaggi etici che partono dalla scuola si perdono nel frastuono di quelli molto più forti e diversi che arrivano dalla televisione, dalla società, da famiglie e ambienti che orientano i ragazzi in maniera completamente diversa.
Noi andiamo spesso nelle scuole, e cerchiamo di mettere nei ragazzi il tarlo del dubbio. Non solo dicendo che se inseguiranno il mito della velina o del tronista finiranno dietro le porte di faccendieri o collettori di voto che prometteranno loro posti che non potranno dare nemmeno ai loro figli, ma anche dimostrando che accettando la cultura mafiosa e facendo i picciotti, al massimo finiranno per guadagnare quanto un panettiere. Solo che dovranno sottostare alla dura legge dei clan, rischieranno la galera se non la vita. E non potranno mai avere la tranquillità di formarsi una famiglia senza metterla a rischio. Mentre il panettiere si e può vivere felice. Nella criminalità organizzata solo i boss sono ricchi, quelli che comandano, non certo la manovalanza».
Nicaso: «Nelle mie lezioni negli Usa spiego che la mafia è “giustizia privata e scambio di relazioni”. Ad esempio in Liguria un consigliere regionale confida a un esponente della ndrangheta: “Io, nel mondo che conoscete voi, sono noto anche come una persona affidabile; se dico una cosa mi impegno sempre. E questo credo che me lo riconoscano tutti. Voi potete prendere informazioni in giro sulla mia caratteristica di mantenere le promesse”. Queste sono parole intercettate in Liguria non in Sicilia, Calabria o Campania, e fanno capire chiaramente come i mafiosi non vengono qui soltanto per investire. Vengono per offrire pacchetti di voti e ottengono in cambio appalti, protezioni, impunità. E’ questo che definisco “scambio di relazioni”. Se pensiamo alla mafie come organizzazioni criminali violente, non riusciremo a capirle. Se pensiamo a Bernardo Provenzano, la mafia non la capiremo mai! Dobbiamo aver ben presente che ci sono “network di relazioni” che i mafiosi stringono con esponenti della politica, della finanza, della Chiesa, dell’imprenditoria, delle professioni. E che questo fa parte del loro normale comportamento criminale».
Circa 150 contributi che al procuratore antimafia più famoso d’Italia e al criminologo calabrese che vive in Canada e insegna storia della criminalità organizzata nel Vermont, Usa, sono arrivati in mezzo a centinaia o migliaia di altri un po’ per iniziativa di scuole dopo compiti in classe e un po’ per volontà degli stessi ragazzi dopo aver visto Gratteri in una trasmissione televisiva, dopo aver letto un suo volume o partecipato a un incontro o a una presentazione in libreria. Fatto sta che ne “La mafia fa schifo” c’è un po’ di tutto: l’ingenuità, la rabbia, la voglia di costruire un futuro migliore, la paura. Parlano giovani di ogni estrazione: che non hanno mai visto un mafioso, che una volta ne hanno incontrato uno, che ne incontrano tutti i giorni, che crescono con i loro figli, che convivono con la mafiosità e la sopportano in silenzio o la malsopportano alzando qualche volta la voce, che sono figli di mafiosi, che hanno le idee confuse o le hanno fin troppo chiare.
Spesso uniti da una domanda di fondo: perché gli adulti onesti non riescono a estirpare la malapianta?
Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, che è anche giornalista, hanno tentato di rispondere presentando il libro alla libreria Feltrinelli di Genova (tappa di un tour partito dalla Calabria il 22 novembre scorso per toccare Roma e Firenze e proseguire poi verso Novara, Brescia, Milano, Reggio Emilia e Bologna: «Per i benpensanti preciso che sono in ferie - ha detto Gratteri - come tutte le volte che mi si vede in Tv»). Risposte non facili ovviamente, visto che le mafie sono da tempo un fenomeno non solo meridionale ma trasnazionale e la ‘ndrangheta calabrese è diventata una potenza mondiale nel traffico di droga, armi, nel riciclaggio di denaro e non c’è settore economico - a cominciare dall’edilizia e dal commercio - in cui non sia infiltrata. In Italia ne sanno qualcosa città come Milano, Torino, Genova, Bologna...
Nella sala della Feltrinelli di via Ceccardi - strapiena di pubblico, Vedi galleria fotografica - gli interventi dei due autori sono stati intervallati dalla proiezione delle letture di alcuni degli interventi più significativi dei ragazzi.
Ma, innanzitutto, come si fa a difendersi dai mafiosi e dalla loro cultura? Come si fa a riconoscerli?
«Purtroppo – sostengono Gratteri e Nicaso - i mafiosi sfuggono a ogni cliché. Coppola e lupara sono state sostituite da giacca e cravatta, c'è chi spara ma c'è anche chi si muove senza dare nell'occhio. Alcuni hanno la faccia innocua da brava persona, altri il ghigno beffardo di chi ha potere e denaro. Come riconoscerli? Non è facile, molte volte sono insospettabili. A Genova un boss vendeva verdure, a Pavia un altro dirigeva l'Asl e un altro ancora a Palermo faceva l'architetto».
«I ragazzi italiani - commenta Nicaso - preferiscono la consapevolezza all’indifferenza: vent’anni fa non era così. Quando avevo 6 anni uccisero il papà del mio compagno di banco e ricordo quello che disse mio nonno: l’hanno ammazzato in piazza come un cane, ma nessuno aveva visto nulla e nessuno parlò. Io allora chiesi a mia madre e lei disse che queste sono cose che non ci riguardano. Secondo me questo era un atteggiamento sbagliato e continua ad esserlo dove si manifesta: la lotta alla mafia non spetta agli altri ma a ciascuno di noi, e le lettere di questo libro lo testimoniano. I giovani cercano un coinvolgimento, vogliono capire, vogliono sapere, perché vogliono scegliere da subito da quale parte stare».
Nicola Gratteri: «In quale famiglia si nasce è fondamentale per il futuro di un bambino. Lo stesso soggetto ha il 99 per cento di probabilità di diventare una persona onesta se i suoi genitori lo sono e gli insegnano fin da piccolo i principi della legalità e lo educano con l’esempio, oppure un mafioso se la sua famiglia è mafiosa e lo forma in una cultura di illegalità. Questo ce lo insegna la storia giudiziaria. Subito dopo viene la scuola, che in particolare in questi ultimi anni è in profonda crisi, conseguenza anche di una crisi culturale della società italiana. La cultura degli ultimi 15-20 anni, nel nostro Paese, è stata creata, strutturata e manipolata dalle multinazionali, che “costruiscono” i consumi. E la fetta di cittadini che consumano di più sono quelli che non hanno soldi ma li fanno spendere ai propri genitori. Le multinazionali i mass media si concentrano sui giovani perché sono una vacca da mungere: così si creano trasmissioni televisive identiche in tutto il mondo occidentale come “Il milionario”, uguale in Italia, Germania, Stati Uniti, Canada… cambia solo la lingua. Anche le pubblicità sono le stesse e fanno consumare gli stessi prodotti. Il fine ultimo, a parte il business, è far capire ai giovani che si è accettati solo se si è ricchi e potenti. Così ci si allena ad essere valutati in base a ciò che si ha e non a ciò che si è.
A scuola oggi gli insegnanti sono poco pagati, sono poveri, non arrivano con il Suv da 50 mila euro, non hanno un tenore di vita paragonabile a quello spacciato in queste trasmissioni, quindi non rappresentano un modello vincente né loro né quello che dicono. Ed ecco che i messaggi etici che partono dalla scuola si perdono nel frastuono di quelli molto più forti e diversi che arrivano dalla televisione, dalla società, da famiglie e ambienti che orientano i ragazzi in maniera completamente diversa.
Noi andiamo spesso nelle scuole, e cerchiamo di mettere nei ragazzi il tarlo del dubbio. Non solo dicendo che se inseguiranno il mito della velina o del tronista finiranno dietro le porte di faccendieri o collettori di voto che prometteranno loro posti che non potranno dare nemmeno ai loro figli, ma anche dimostrando che accettando la cultura mafiosa e facendo i picciotti, al massimo finiranno per guadagnare quanto un panettiere. Solo che dovranno sottostare alla dura legge dei clan, rischieranno la galera se non la vita. E non potranno mai avere la tranquillità di formarsi una famiglia senza metterla a rischio. Mentre il panettiere si e può vivere felice. Nella criminalità organizzata solo i boss sono ricchi, quelli che comandano, non certo la manovalanza».
Nicaso: «Nelle mie lezioni negli Usa spiego che la mafia è “giustizia privata e scambio di relazioni”. Ad esempio in Liguria un consigliere regionale confida a un esponente della ndrangheta: “Io, nel mondo che conoscete voi, sono noto anche come una persona affidabile; se dico una cosa mi impegno sempre. E questo credo che me lo riconoscano tutti. Voi potete prendere informazioni in giro sulla mia caratteristica di mantenere le promesse”. Queste sono parole intercettate in Liguria non in Sicilia, Calabria o Campania, e fanno capire chiaramente come i mafiosi non vengono qui soltanto per investire. Vengono per offrire pacchetti di voti e ottengono in cambio appalti, protezioni, impunità. E’ questo che definisco “scambio di relazioni”. Se pensiamo alla mafie come organizzazioni criminali violente, non riusciremo a capirle. Se pensiamo a Bernardo Provenzano, la mafia non la capiremo mai! Dobbiamo aver ben presente che ci sono “network di relazioni” che i mafiosi stringono con esponenti della politica, della finanza, della Chiesa, dell’imprenditoria, delle professioni. E che questo fa parte del loro normale comportamento criminale».