Il tema dei container vuoti e le problematiche nel rapporto tra scalo e città sono stati oggi al centro dell'incontro "Container vuoti "no grazie"? Piano urbanistico comunale (PUC) e Piano regolatore Portuale (PRP)", organizzato da Cisco (Council of Intermodal Shipping Consultants) nella sede della Camera di Commercio, in via Garibaldi. Erano seduti al tavolo dei relatori il segretario generale del Cisco, Giordano Bruno Guerrini, il vicesindaco Paolo Pissarello, il presidente di Assiterminal, Alessadro Giannini e Ignazio Messina di Terminal Messina.
"Nel totale dei contenitori movimentati, circa 1 milione e 800.000, sono oltre 350.000 quelli vuoti - ha sottolineato Giordano Bruno Guerrini - la città deve ricordare che i contenitori movimentati significano occupazione, diretta e indiretta ( 3.000 addetti circa n.d.r.) anche perché i depositi dei contenitori vuoti sono un fattore moltiplicante di valore". Lo scopo dell’incontro è portare un contributo per migliorare la conoscenza su una realtà che troppe volte viene emarginata e frettolosamente stigmatizzata. Porto e città hanno smesso da tempo di voltarsi le spalle e: "Una soluzione si può trovare sul lungo termine - aggiunge Guerrini - migliorando l'impianto logistico, trasferendo i contenitori da gomma a rotaia ma, a breve termine è necessario che la città e il porto identifichino degli spazi adatti per questo tipo di operazioni, per non privare la città di valore, lavoro e pil". Affinché non si torni ad un muro contro muro, tra città e porto, in una città come Genova affamata di spazi, bisogna evitare che si ricreino le incomprensioni sorte per Fiumara ed Erzelli, interpretate da alcuni come la progressiva spoliazione di terreni pregiati da dedicare ad attività portuali anche se storicamente extraportuali.
Esistono zone nella città desolatamente vuote e non utilizzate, non messe a reddito che il porto reclama. "Il container vuoto rappresenta – ha detto Enrico Parodi neolaureato in Economia con una tesi sui contenitori vuoti - l’anello iniziale della catena del trasporto, ed è grazie ad esso se la merce può essere movimentata soddisfacendo le necessità commerciali dei più diversi soggetti. Quando un contenitore è vuoto, deve essere conservato in un luogo idoneo, dove possano essere forniti i necessari interventi di riparazione e manutenzione, e da dove il suo inoltro verso le zone di caricazione, sia rapido ed economico”.
Perplessità sono state manifestate dai relatori circa l’ipotesi, caldeggiata dal Puc, di allontanare le attività di riparazione e manutenzione dei container oltreappennino: “L’idea è buona – ha concluso Parodi - ma presuppone la presenza di collegamenti infrastrutturali ancora non esistenti, e certamente non di rapida realizzazione”. Meglio, secondo gli addetti ai lavori, una terza via: migliorare la pianificazione sia portuale che comunale, per trovare una collaborazione sinergica che permetta di attenuare, secondo alcuni, gli aspetti negativi dei contenitori vuoti per impatto ambientale e ingombro di aree urbane altrimenti utilizzabili.
"Nel totale dei contenitori movimentati, circa 1 milione e 800.000, sono oltre 350.000 quelli vuoti - ha sottolineato Giordano Bruno Guerrini - la città deve ricordare che i contenitori movimentati significano occupazione, diretta e indiretta ( 3.000 addetti circa n.d.r.) anche perché i depositi dei contenitori vuoti sono un fattore moltiplicante di valore". Lo scopo dell’incontro è portare un contributo per migliorare la conoscenza su una realtà che troppe volte viene emarginata e frettolosamente stigmatizzata. Porto e città hanno smesso da tempo di voltarsi le spalle e: "Una soluzione si può trovare sul lungo termine - aggiunge Guerrini - migliorando l'impianto logistico, trasferendo i contenitori da gomma a rotaia ma, a breve termine è necessario che la città e il porto identifichino degli spazi adatti per questo tipo di operazioni, per non privare la città di valore, lavoro e pil". Affinché non si torni ad un muro contro muro, tra città e porto, in una città come Genova affamata di spazi, bisogna evitare che si ricreino le incomprensioni sorte per Fiumara ed Erzelli, interpretate da alcuni come la progressiva spoliazione di terreni pregiati da dedicare ad attività portuali anche se storicamente extraportuali.
Esistono zone nella città desolatamente vuote e non utilizzate, non messe a reddito che il porto reclama. "Il container vuoto rappresenta – ha detto Enrico Parodi neolaureato in Economia con una tesi sui contenitori vuoti - l’anello iniziale della catena del trasporto, ed è grazie ad esso se la merce può essere movimentata soddisfacendo le necessità commerciali dei più diversi soggetti. Quando un contenitore è vuoto, deve essere conservato in un luogo idoneo, dove possano essere forniti i necessari interventi di riparazione e manutenzione, e da dove il suo inoltro verso le zone di caricazione, sia rapido ed economico”.
Perplessità sono state manifestate dai relatori circa l’ipotesi, caldeggiata dal Puc, di allontanare le attività di riparazione e manutenzione dei container oltreappennino: “L’idea è buona – ha concluso Parodi - ma presuppone la presenza di collegamenti infrastrutturali ancora non esistenti, e certamente non di rapida realizzazione”. Meglio, secondo gli addetti ai lavori, una terza via: migliorare la pianificazione sia portuale che comunale, per trovare una collaborazione sinergica che permetta di attenuare, secondo alcuni, gli aspetti negativi dei contenitori vuoti per impatto ambientale e ingombro di aree urbane altrimenti utilizzabili.