La manifestazione dell’Anci di oggi a Milano mette con chiarezza in luce i caratteri più inquietanti e politicamente pericolosi della manovra. La cui essenza è uno straordinario trasferimento dei sacrifici dall’alto verso il basso, e dei poteri dal basso verso l’alto.
I sacrifici. È chiaro per ora chi non vuol proprio pagare, il grande capitale finanziario, quelli che hanno in pancia la maggior parte dei titoli, che giocano sui differenziali dei tassi di interesse del debito pubblico fra i diversi Paesi, che hanno fatto i miliardi sui disastri. ”Se ci tassate portiamo i soldi da un’altra parte” è il loro efficacissimo slogan. Che non è solo immorale, ma è destinato a perpetuare le ragioni per cui la crisi è esplosa, e per cui è destinata a continuare.
Lo spostarsi della maggior parte della ricchezza dal lavoro e dalla produzione alla grande finanza ha provocato il crescere delle diseguaglianze, e la necessità di interventi pubblici per arginare la disoccupazione, la marginalità sociale, le vecchie e le nuove povertà, ed è stata una delle cause dello stesso aumento del debito pubblico. Per lo meno di pari importanza degli sprechi, delle inefficienze, delle debolezze della politica. Inoltre questa ricchezza rifiuta ogni responsabilità sociale, rispetto ai Paesi e ai territori. È stato un grande finanziere, Warren Buffet, a spiegarci che paga di tasse meno della sua segretaria, e di tutti quelli che si procurano da vivere col lavoro, col commercio, con l’impresa. Ma il suo appello ai grandi ricchi a pagare le tasse, non ha sollevato grandi entusiasmi fra i ricchi medesimi, soprattutto in Italia.
Gli Stati nazionali sembrano impotenti a invertire questa deriva, e scaricano - su questo l’Italia di Berlusconi è all’avanguardia - gran parte dei tagli sugli Enti Locali. Che saranno chiamati a decidere se aumentare la tassazione che è nelle loro disponibilità, o a tagliare i servizi rivolti alla parte più debole ed esposta alla crisi della popolazione. Molto probabilmente a dover fare tutte e due le cose insieme.
Il potere. Si sta dislocando in maniera inversamente proporzionale alle possibilità dei cittadini di controllare e di far sentire la propria voce. In particolare sono lasciati senza risorse finanziarie e decisionali i comuni grandi e piccoli, che sono i luoghi più vicini ai cittadini, più in grado di differenziare i propri interventi sulla base dei bisogni e dei meriti. E questo è un guaio non solo perché rischia di lasciare senza risposte i più colpiti dalla crisi, ma di rendere impossibile anche la possibilità di riavviare un nuovo sviluppo sostenibile.
La promozione delle innovazione tecnologica e organizzativa, l’economia verde e il risparmio energetico, la cultura del riuso e della manutenzione che devono sostituire lo sciagurato”usa e getta” degli anni che ci stanno alle spalle, la salvaguardia dei beni pubblici naturali e del nostro straordinario patrimonio culturale, si praticano nelle città e nei territori, e nei territori è possibile promuovere la creatività e la coesione sociale- e forse anche quella sindacale- necessarie a integrarli in una nuova idea di sviluppo. Cosa che oggi non pare proprio alla portata della politica nazionale. I tagli dissennati e sproporzionati agli Enti Locali rischiano di sbarrare le porte alla stessa possibilità di progettare il futuro.
I sacrifici. È chiaro per ora chi non vuol proprio pagare, il grande capitale finanziario, quelli che hanno in pancia la maggior parte dei titoli, che giocano sui differenziali dei tassi di interesse del debito pubblico fra i diversi Paesi, che hanno fatto i miliardi sui disastri. ”Se ci tassate portiamo i soldi da un’altra parte” è il loro efficacissimo slogan. Che non è solo immorale, ma è destinato a perpetuare le ragioni per cui la crisi è esplosa, e per cui è destinata a continuare.
Lo spostarsi della maggior parte della ricchezza dal lavoro e dalla produzione alla grande finanza ha provocato il crescere delle diseguaglianze, e la necessità di interventi pubblici per arginare la disoccupazione, la marginalità sociale, le vecchie e le nuove povertà, ed è stata una delle cause dello stesso aumento del debito pubblico. Per lo meno di pari importanza degli sprechi, delle inefficienze, delle debolezze della politica. Inoltre questa ricchezza rifiuta ogni responsabilità sociale, rispetto ai Paesi e ai territori. È stato un grande finanziere, Warren Buffet, a spiegarci che paga di tasse meno della sua segretaria, e di tutti quelli che si procurano da vivere col lavoro, col commercio, con l’impresa. Ma il suo appello ai grandi ricchi a pagare le tasse, non ha sollevato grandi entusiasmi fra i ricchi medesimi, soprattutto in Italia.
Gli Stati nazionali sembrano impotenti a invertire questa deriva, e scaricano - su questo l’Italia di Berlusconi è all’avanguardia - gran parte dei tagli sugli Enti Locali. Che saranno chiamati a decidere se aumentare la tassazione che è nelle loro disponibilità, o a tagliare i servizi rivolti alla parte più debole ed esposta alla crisi della popolazione. Molto probabilmente a dover fare tutte e due le cose insieme.
Il potere. Si sta dislocando in maniera inversamente proporzionale alle possibilità dei cittadini di controllare e di far sentire la propria voce. In particolare sono lasciati senza risorse finanziarie e decisionali i comuni grandi e piccoli, che sono i luoghi più vicini ai cittadini, più in grado di differenziare i propri interventi sulla base dei bisogni e dei meriti. E questo è un guaio non solo perché rischia di lasciare senza risposte i più colpiti dalla crisi, ma di rendere impossibile anche la possibilità di riavviare un nuovo sviluppo sostenibile.
La promozione delle innovazione tecnologica e organizzativa, l’economia verde e il risparmio energetico, la cultura del riuso e della manutenzione che devono sostituire lo sciagurato”usa e getta” degli anni che ci stanno alle spalle, la salvaguardia dei beni pubblici naturali e del nostro straordinario patrimonio culturale, si praticano nelle città e nei territori, e nei territori è possibile promuovere la creatività e la coesione sociale- e forse anche quella sindacale- necessarie a integrarli in una nuova idea di sviluppo. Cosa che oggi non pare proprio alla portata della politica nazionale. I tagli dissennati e sproporzionati agli Enti Locali rischiano di sbarrare le porte alla stessa possibilità di progettare il futuro.