Il sole splende in questa calda giornata d’inverno, e illumina lo stendardo dell’Anpi e il gonfalone del Comune di Genova, riuniti ancora una volta, insieme a quello di Provincia e Regione, a ricordare il martirio di 8 antifascisti, trucidati la mattina del 14 gennaio 1944 da un plotone della Repubblica Sociale nel piazzale antistante al forte di San Martino.
Dopo 68 anni, quell’evento, come molti altri legati alla Lotta di Liberazione, ci parla ancora di sofferenza, coraggio e sacrificio, rimanendo un esempio da conservare per il futuro della nostra società. La sera del 13 gennaio di quell’anno, infatti, due ufficiali tedeschi furono fatti bersaglio da un’azione delle milizie del GAP (Gruppo di Azione Patriottica) presso via XX settembre: uno di questi morì poche ore dopo, scatenando la fame di rappresaglia dei nazisti. Il prefetto di allora, il fascistissimo Basile, dispose un processo sommario per dieci anti fascisti arrestati in precedenza con svariate accuse di attività sovversive: c’era chi era stato sorpreso attaccare manifesti anti-regime, chi scioperare, chi rastrellato sui monti. La procedura fu sommaria e illegale: nel giro di poche ore otto di loro furono condannati a morte per fucilazione.
Il prefetto chiese all’allora questore, il fascista Bigoni, di inviare un plotone di 20 carabinieri per svolgere il lavoro sporco, forse per dare una sorta di finta legalità. Fu designato il tenente di complemento Giuseppe Avezzano Comes, che si recò presso il forte con i suoi sottoposti, senza aver ricevuto i dettagli della “missione”, genericamente definita di “ordine pubblico”. Una volta sul posto, fu evidente a quale compito erano stati chiamati i militi; il comandante però, al momento dell’esecuzione, si rifiutò di eseguire gli ordini, assicurando che nessuno dei suoi Carabinieri avrebbe sparato. Avezzano fu, quindi, chiuso nel forte mentre la miliziani della Repubblica Sociale, aiutati da alcuni nazisti, riversarono sui corpi già vessati dei condannati, il piombo infame della rappresaglia, spargendo ancora una volta il sangue su cui la Storia avrebbe costruito la nostra libertà.
Ecco i nomi degli otto martiri: Odino Bellucci, 32 anni, professore al Convitto Colombo; Giovanni Bertora, 31 anni, tipografo; Giovanni Giacalone, 53 anni, straccivendolo; Romeo Guglielmetti, 34 anni, tranviere; Amedeo Lattanzi, 55 anni, giornalaio; Luigi Marsano, 33 anni, saldatore; Guido Mirolli, 49 anni, oste; Giovanni Veronelli, 57 anni, operaio, il più anziano, veterano della Guerra di Spagna e confinato a Ventotene.
Il comandante Avezzano, rientrato successivamente in caserma, distrusse i documenti dell’ordine di servizio, per evitare che fossero riconosciuti i Carabinieri che con coraggio si erano rifiutati di sparare, salvandoli dalla deportazione, che però tocco a lui: dopo un’istruttoria, fu mandato in un campo di detenzione in Germania, poi rinchiuso in un carcere in Italia, da dove scappò per poi essere nuovamente catturato ad Alassio, imprigionato fino alla liberazione.
Oggi il ricordo della città, delle istituzioni e dell’Arma: picchetto d’onore e deposizione delle corone dall’alloro sotto la targa che ricorda l’evento sul muraglione della caserma di via Gobetti, e solenne cerimonia presso il piazzale del forte di San Martino. L’orazione ufficiale è stata affidata al sindaco di Genova, Marta Vincenzi: «La memoria è un valore fondamentale da preservare, soprattutto quando si tratta della necessità di tramandare nel tempo vicende di terribile dolore e di violenza totale, in cui venne rinnegato il senso stesso dell’esistere – ha sottolineato il primo cittadino - Luoghi come questo sono, e debbono essere sempre di più, meta di pellegrinaggio, di visita e di riflessione. In primo luogo per i nostri giovani, affinché non dimentichino, affinchè si impegnino perchè non siano ripetuti gli errori del passato, affinchè imparino a riflettere sulle lezioni che la storia impartisce». E dopo la narrazione dell’evento ha concoluso: «Questo episodio, con il martirio di cittadini e il rifiuto da parte dei Carabinieri, contrapposto alla rabbia omicida del fascimo, risalta ancora una volta la differenza tra Servi dello Stato e servi del potere, perché se la pietà va per tutti i morti, non tutti i morti sono uguali di fronte alla Storia: chi ha scelto di resistere al potere fascista, lo ha fatto per la libertà dei popoli e della patria. Ora e sempre, Resistenza!».
Un lungo applauso dei presenti, giovani e anziani, ha chiuso la cerimonia. Il sole splende alto nel cielo di Genova, scaldando ancora una volta il cuore e il ricordo dei suoi cittadini e dei suoi eroi.
Dopo 68 anni, quell’evento, come molti altri legati alla Lotta di Liberazione, ci parla ancora di sofferenza, coraggio e sacrificio, rimanendo un esempio da conservare per il futuro della nostra società. La sera del 13 gennaio di quell’anno, infatti, due ufficiali tedeschi furono fatti bersaglio da un’azione delle milizie del GAP (Gruppo di Azione Patriottica) presso via XX settembre: uno di questi morì poche ore dopo, scatenando la fame di rappresaglia dei nazisti. Il prefetto di allora, il fascistissimo Basile, dispose un processo sommario per dieci anti fascisti arrestati in precedenza con svariate accuse di attività sovversive: c’era chi era stato sorpreso attaccare manifesti anti-regime, chi scioperare, chi rastrellato sui monti. La procedura fu sommaria e illegale: nel giro di poche ore otto di loro furono condannati a morte per fucilazione.
Il prefetto chiese all’allora questore, il fascista Bigoni, di inviare un plotone di 20 carabinieri per svolgere il lavoro sporco, forse per dare una sorta di finta legalità. Fu designato il tenente di complemento Giuseppe Avezzano Comes, che si recò presso il forte con i suoi sottoposti, senza aver ricevuto i dettagli della “missione”, genericamente definita di “ordine pubblico”. Una volta sul posto, fu evidente a quale compito erano stati chiamati i militi; il comandante però, al momento dell’esecuzione, si rifiutò di eseguire gli ordini, assicurando che nessuno dei suoi Carabinieri avrebbe sparato. Avezzano fu, quindi, chiuso nel forte mentre la miliziani della Repubblica Sociale, aiutati da alcuni nazisti, riversarono sui corpi già vessati dei condannati, il piombo infame della rappresaglia, spargendo ancora una volta il sangue su cui la Storia avrebbe costruito la nostra libertà.
Ecco i nomi degli otto martiri: Odino Bellucci, 32 anni, professore al Convitto Colombo; Giovanni Bertora, 31 anni, tipografo; Giovanni Giacalone, 53 anni, straccivendolo; Romeo Guglielmetti, 34 anni, tranviere; Amedeo Lattanzi, 55 anni, giornalaio; Luigi Marsano, 33 anni, saldatore; Guido Mirolli, 49 anni, oste; Giovanni Veronelli, 57 anni, operaio, il più anziano, veterano della Guerra di Spagna e confinato a Ventotene.
Il comandante Avezzano, rientrato successivamente in caserma, distrusse i documenti dell’ordine di servizio, per evitare che fossero riconosciuti i Carabinieri che con coraggio si erano rifiutati di sparare, salvandoli dalla deportazione, che però tocco a lui: dopo un’istruttoria, fu mandato in un campo di detenzione in Germania, poi rinchiuso in un carcere in Italia, da dove scappò per poi essere nuovamente catturato ad Alassio, imprigionato fino alla liberazione.
Oggi il ricordo della città, delle istituzioni e dell’Arma: picchetto d’onore e deposizione delle corone dall’alloro sotto la targa che ricorda l’evento sul muraglione della caserma di via Gobetti, e solenne cerimonia presso il piazzale del forte di San Martino. L’orazione ufficiale è stata affidata al sindaco di Genova, Marta Vincenzi: «La memoria è un valore fondamentale da preservare, soprattutto quando si tratta della necessità di tramandare nel tempo vicende di terribile dolore e di violenza totale, in cui venne rinnegato il senso stesso dell’esistere – ha sottolineato il primo cittadino - Luoghi come questo sono, e debbono essere sempre di più, meta di pellegrinaggio, di visita e di riflessione. In primo luogo per i nostri giovani, affinché non dimentichino, affinchè si impegnino perchè non siano ripetuti gli errori del passato, affinchè imparino a riflettere sulle lezioni che la storia impartisce». E dopo la narrazione dell’evento ha concoluso: «Questo episodio, con il martirio di cittadini e il rifiuto da parte dei Carabinieri, contrapposto alla rabbia omicida del fascimo, risalta ancora una volta la differenza tra Servi dello Stato e servi del potere, perché se la pietà va per tutti i morti, non tutti i morti sono uguali di fronte alla Storia: chi ha scelto di resistere al potere fascista, lo ha fatto per la libertà dei popoli e della patria. Ora e sempre, Resistenza!».
Un lungo applauso dei presenti, giovani e anziani, ha chiuso la cerimonia. Il sole splende alto nel cielo di Genova, scaldando ancora una volta il cuore e il ricordo dei suoi cittadini e dei suoi eroi.