Riportiamo il testo integrale del discorso che il sindaco Marco Doria ha tenuto in piazza Matteotti, questa mattina, 25 aprile 2015, concludendo la manifestazione per il 70° anniversario della Liberazione. Il sindaco ha preso spunto dalla lettura da parte dell’attore Maurizio Lastrico della poesia di Edoardo Firpo dedicata ai martiri di Cravasco
"Edoardo Firpo e la Resistenza hanno parlato a Maurizio Lastrico così come hanno parlato a tutti noi.
Voglio riferirmi proprio all’episodio dei martiri di Cravasco ricordato nella poesia di Firpo. Sono state citate due persone. Renato Quartini nato nel 1923, giovane operaio dell’Ansaldo, fucilato a 22 anni. Già ferito in combattimento, partecipante ai Gap genovesi, torturato dai fascisti amputandogli una gamba, fu condotto lungo la strada per Cravasco sottraendogli anche le stampelle, così che i compagni dovettero portarlo in spalla camminando insieme verso la fucilazione.
L’altra persona ricordata è Arrigo Diodati, scampato alla fucilazione, nato a La Spezia nel 1926, partigiano Franco, anche lui un ragazzo, di una famiglia antifascista che era emigrata in Francia. La guerra lo aveva colto Oltralpe, dove aveva aderito alla Resistenza francese, per poi tornare in Italia e partecipare alla Resistenza italiana. Diodati visse a Cravasco la vicenda da incubo di cui, per motivi fortuiti, potè essere testimone negli anni successivi.
E ancora possiamo citare un’altra persona: Edoardo Firpo, nostro grande poeta; viveva facendo l’accordatore di pianoforte, profondamente antifascista, dedicò alla Resistenza alcune delle sue rime più belle.
Sono tutti nomi di persone che vissero allora. Ieri ho partecipato a due iniziative per il 25 aprile: una nello stabilimento di Ansaldo Energia, l’altra a Palazzo di Giustizia. In tutti e due questi luoghi mi sono soffermato di fronte a lapidi come quelle onorate oggi, dove sono incisi i nomi di tante persone.
È giusto che ci domandiamo: chi erano quelle persone? Che cosa fecero? Perché lo fecero?
Ci troviamo in questa piazza, intitolata a Matteotti. Siamo abituati a chiamarla piazza Matteotti ma chi era Giacomo Matteotti? Un avvocato, un parlamentare socialista che si oppose al fascismo violento e squadrista degli inizi, che denunciò i brogli elettorali e fu ammazzato per questo, che non ebbe paura di farlo, non si tirò indietro quando i poteri forti dell’Italia di allora strizzavano l’occhio e anche qualcosa di più al regime fascista.
Tante persone, tante vite, tante scelte. La questione della scelta è un tema fondamentale, perché tutte queste furono persone che scelsero. Si poteva scegliere in modi diversi. Nel 1931 il regime fascista impose ai professori dell’università italiana di giurare fedeltà al regime. Erano 1.200 circa i professori universitari e soltanto in 12 rifiutarono di giurare fedeltà al regime e persero il posto di lavoro. Altri, in altri modi, quelli che erano al confino, quelli che erano in galera, avevano deciso di opporsi al regime. Si oppose al regime anche il 90% dei 600mila soldati italiani fatti prigionieri dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943 e furono portati in campi di prigionia in Germania.
Ai soldati la repubblica sociale italiana propose la libertà in cambio dell’arruolamento nelle proprie fila, con il ritorno a casa e la fine della prigionia. Il 90% disse no. Una parte di coloro che tornarono in Italia successivamente si unì alle formazioni partigiane.
Nel 1943/45 le possibilità di scegliere si ampliarono molto rispetto a quelle dal 1922 in poi. Nell’Italia in guerra, in cui l’apparato coercitivo del fascismo e del nazismo, pur provandoci non riusciva più a controllare tutto, si poteva dunque scegliere. E la scelta era impegnativa. Perché si sceglieva? Per cosa?
Si sceglieva “contro”: contro il fascismo. Era giusto essere contro: nella vita è giusto essere contro qualcosa. Allora si era contro il fascismo e tutto quello che il fascismo aveva rappresentato: la cancellazione di libertà fondamentali, politiche e civili; un’idea di società nella quale alla donna era assegnato un ruolo circoscritto, definito, subalterno; contro il razzismo e contro la guerra. Il fascismo, già ben prima della seconda guerra mondiale - poiché era nel suo dna essere razzista e bellicista - attaccò un popolo che all’Italia non aveva fatto nulla, il popolo etiope. Sui villaggi etiopi Mussolini diede l’ordine di usare i gas ammazzando civili. Ciò che noi consideriamo a tutti gli effetti un crimine di guerra.
Allora la scelta era di opposizione totale al fascismo, contro il fascismo. Ma anche “per” qualcosa, per dei valori, per un’idea diversa di società. Le persone che si schierarono contro il fascismo erano diverse tra di loro, per esperienze, per culture, per tradizioni, per informazione e non lo dobbiamo mai dimenticare. La Resistenza fu un movimento di persone diverse tra di loro ma unite. Perché furono unite? Perché ci fu un elemento che costituì unità tra tante persone diverse e questo elemento lo definiamo con una parola che in questo momento non piace, per motivi anche comprensibili e giustificati. E’ una parola che per Matteotti, per i resistenti, per tutti coloro che avevano combattuto allora, e provenivano da una tradizione d’impegno, aveva un grandissimo valore e deve avere un grandissimo valore anche oggi. Questa parola è politica. La Resistenza fu un grande momento della storia politica di questo Paese, perché politica è avere un’idea di società e scegliere di impegnarsi per costruire un Paese ispirato a valori opponendosi ad altre visioni inaccettabili. Questa è la politica. E allora si fece.
Allora la politica significava sacrificio, sacrificio della vita. Ci sono testimonianze che raccontano come l’accanimento degli aguzzini nazifascisti nei confronti dei detenuti politici, quelli che loro consideravano politici, era particolare. Volevano scardinarne le idee massacrando le persone. Allora la politica era sacrificio della vita, non ricerca del vitalizio.
Quella straordinaria stagione di impegno civile, attraverso la sofferenza degli italiani, produsse un grande risultato politico: la nostra Costituzione che è intrisa di valori, valori di sovranità popolare, di una società giusta, che tende all’eguaglianza, rifiuta il razzismo, rifiuta la guerra, prevede per i cittadini diritti e doveri.
Oggi noi ricordiamo la storia, la nostra storia di 70 anni fa. E’ importante conoscerla e ricordarla, fare un lavoro sulla nostra memoria. Se perdiamo la memoria cambia la nostra identità. La memoria, negli individui e in una collettività, è un fattore costituente dell’identità. Dobbiamo esserne consapevoli. La memoria è anche riflessione critica, non è retorica. E’ esercizio critico costante. Quindi oggi dobbiamo riflettere su una pagina della nostra storia, fare esercizio di memoria e con questo costruire giorno dopo giorno la nostra identità di persone democratiche, antirazziste, che rifiutano la guerra, che aspirano alla giustizia, che hanno un senso dei diritti e un senso dei doveri come la Costituzione ci ricorda.
Adesso sono passati 70 anni. Ancora nel 30 giugno 1960 ne erano passati soltanto 15 e coloro che avevano vent’anni in montagna, nel ’60 erano sotto i quaranta e i loro ricordi erano molto vivi. A 70 anni di distanza il nostro approccio non può essere identico, ma c’è un filo rosso. C’è una frase molto bella scritta da una persona che diede un grande contributo alla Costituente e all’elaborazione della Costituzione, il giurista Piero Calamandrei. Nell’Italia degli anni ’50, quando ancora era vicina l’epoca della Resistenza, coniò quello che oggi diremmo uno slogan, ma è molto profondo: “Ora e sempre Resistenza”.
In questo momento molto diverso, in un nuovo secolo, con un nuovo scenario mondiale, possiamo aggiungere “adesso e domani tocca a noi” e dobbiamo esserne all’altezza".
"Edoardo Firpo e la Resistenza hanno parlato a Maurizio Lastrico così come hanno parlato a tutti noi.
Voglio riferirmi proprio all’episodio dei martiri di Cravasco ricordato nella poesia di Firpo. Sono state citate due persone. Renato Quartini nato nel 1923, giovane operaio dell’Ansaldo, fucilato a 22 anni. Già ferito in combattimento, partecipante ai Gap genovesi, torturato dai fascisti amputandogli una gamba, fu condotto lungo la strada per Cravasco sottraendogli anche le stampelle, così che i compagni dovettero portarlo in spalla camminando insieme verso la fucilazione.
L’altra persona ricordata è Arrigo Diodati, scampato alla fucilazione, nato a La Spezia nel 1926, partigiano Franco, anche lui un ragazzo, di una famiglia antifascista che era emigrata in Francia. La guerra lo aveva colto Oltralpe, dove aveva aderito alla Resistenza francese, per poi tornare in Italia e partecipare alla Resistenza italiana. Diodati visse a Cravasco la vicenda da incubo di cui, per motivi fortuiti, potè essere testimone negli anni successivi.
E ancora possiamo citare un’altra persona: Edoardo Firpo, nostro grande poeta; viveva facendo l’accordatore di pianoforte, profondamente antifascista, dedicò alla Resistenza alcune delle sue rime più belle.
Sono tutti nomi di persone che vissero allora. Ieri ho partecipato a due iniziative per il 25 aprile: una nello stabilimento di Ansaldo Energia, l’altra a Palazzo di Giustizia. In tutti e due questi luoghi mi sono soffermato di fronte a lapidi come quelle onorate oggi, dove sono incisi i nomi di tante persone.
È giusto che ci domandiamo: chi erano quelle persone? Che cosa fecero? Perché lo fecero?
Ci troviamo in questa piazza, intitolata a Matteotti. Siamo abituati a chiamarla piazza Matteotti ma chi era Giacomo Matteotti? Un avvocato, un parlamentare socialista che si oppose al fascismo violento e squadrista degli inizi, che denunciò i brogli elettorali e fu ammazzato per questo, che non ebbe paura di farlo, non si tirò indietro quando i poteri forti dell’Italia di allora strizzavano l’occhio e anche qualcosa di più al regime fascista.
Tante persone, tante vite, tante scelte. La questione della scelta è un tema fondamentale, perché tutte queste furono persone che scelsero. Si poteva scegliere in modi diversi. Nel 1931 il regime fascista impose ai professori dell’università italiana di giurare fedeltà al regime. Erano 1.200 circa i professori universitari e soltanto in 12 rifiutarono di giurare fedeltà al regime e persero il posto di lavoro. Altri, in altri modi, quelli che erano al confino, quelli che erano in galera, avevano deciso di opporsi al regime. Si oppose al regime anche il 90% dei 600mila soldati italiani fatti prigionieri dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943 e furono portati in campi di prigionia in Germania.
Ai soldati la repubblica sociale italiana propose la libertà in cambio dell’arruolamento nelle proprie fila, con il ritorno a casa e la fine della prigionia. Il 90% disse no. Una parte di coloro che tornarono in Italia successivamente si unì alle formazioni partigiane.
Nel 1943/45 le possibilità di scegliere si ampliarono molto rispetto a quelle dal 1922 in poi. Nell’Italia in guerra, in cui l’apparato coercitivo del fascismo e del nazismo, pur provandoci non riusciva più a controllare tutto, si poteva dunque scegliere. E la scelta era impegnativa. Perché si sceglieva? Per cosa?
Si sceglieva “contro”: contro il fascismo. Era giusto essere contro: nella vita è giusto essere contro qualcosa. Allora si era contro il fascismo e tutto quello che il fascismo aveva rappresentato: la cancellazione di libertà fondamentali, politiche e civili; un’idea di società nella quale alla donna era assegnato un ruolo circoscritto, definito, subalterno; contro il razzismo e contro la guerra. Il fascismo, già ben prima della seconda guerra mondiale - poiché era nel suo dna essere razzista e bellicista - attaccò un popolo che all’Italia non aveva fatto nulla, il popolo etiope. Sui villaggi etiopi Mussolini diede l’ordine di usare i gas ammazzando civili. Ciò che noi consideriamo a tutti gli effetti un crimine di guerra.
Allora la scelta era di opposizione totale al fascismo, contro il fascismo. Ma anche “per” qualcosa, per dei valori, per un’idea diversa di società. Le persone che si schierarono contro il fascismo erano diverse tra di loro, per esperienze, per culture, per tradizioni, per informazione e non lo dobbiamo mai dimenticare. La Resistenza fu un movimento di persone diverse tra di loro ma unite. Perché furono unite? Perché ci fu un elemento che costituì unità tra tante persone diverse e questo elemento lo definiamo con una parola che in questo momento non piace, per motivi anche comprensibili e giustificati. E’ una parola che per Matteotti, per i resistenti, per tutti coloro che avevano combattuto allora, e provenivano da una tradizione d’impegno, aveva un grandissimo valore e deve avere un grandissimo valore anche oggi. Questa parola è politica. La Resistenza fu un grande momento della storia politica di questo Paese, perché politica è avere un’idea di società e scegliere di impegnarsi per costruire un Paese ispirato a valori opponendosi ad altre visioni inaccettabili. Questa è la politica. E allora si fece.
Allora la politica significava sacrificio, sacrificio della vita. Ci sono testimonianze che raccontano come l’accanimento degli aguzzini nazifascisti nei confronti dei detenuti politici, quelli che loro consideravano politici, era particolare. Volevano scardinarne le idee massacrando le persone. Allora la politica era sacrificio della vita, non ricerca del vitalizio.
Quella straordinaria stagione di impegno civile, attraverso la sofferenza degli italiani, produsse un grande risultato politico: la nostra Costituzione che è intrisa di valori, valori di sovranità popolare, di una società giusta, che tende all’eguaglianza, rifiuta il razzismo, rifiuta la guerra, prevede per i cittadini diritti e doveri.
Oggi noi ricordiamo la storia, la nostra storia di 70 anni fa. E’ importante conoscerla e ricordarla, fare un lavoro sulla nostra memoria. Se perdiamo la memoria cambia la nostra identità. La memoria, negli individui e in una collettività, è un fattore costituente dell’identità. Dobbiamo esserne consapevoli. La memoria è anche riflessione critica, non è retorica. E’ esercizio critico costante. Quindi oggi dobbiamo riflettere su una pagina della nostra storia, fare esercizio di memoria e con questo costruire giorno dopo giorno la nostra identità di persone democratiche, antirazziste, che rifiutano la guerra, che aspirano alla giustizia, che hanno un senso dei diritti e un senso dei doveri come la Costituzione ci ricorda.
Adesso sono passati 70 anni. Ancora nel 30 giugno 1960 ne erano passati soltanto 15 e coloro che avevano vent’anni in montagna, nel ’60 erano sotto i quaranta e i loro ricordi erano molto vivi. A 70 anni di distanza il nostro approccio non può essere identico, ma c’è un filo rosso. C’è una frase molto bella scritta da una persona che diede un grande contributo alla Costituente e all’elaborazione della Costituzione, il giurista Piero Calamandrei. Nell’Italia degli anni ’50, quando ancora era vicina l’epoca della Resistenza, coniò quello che oggi diremmo uno slogan, ma è molto profondo: “Ora e sempre Resistenza”.
In questo momento molto diverso, in un nuovo secolo, con un nuovo scenario mondiale, possiamo aggiungere “adesso e domani tocca a noi” e dobbiamo esserne all’altezza".