A metà pomeriggio il ministro Giulio Tremonti ha firmato il decreto per il finanziamento, con gli ormai famosi 50 milioni di euro da tempo previsti, dei lavori per il ribaltamento a mare dei cantieri di Sestri. Lo ha annunciato con un comunicato il parlamentare ligure del Pdl Michele Scandroglio sostenendo di averlo saputo da Gianfranco Conte, presidente della Commissione Finanze della Camera. Un passo dovuto, atteso da tempo, è stato compiuto dunque. Manca ora quello che Genova ritiene più importante: la garanzia che i cantieri abbiano lavoro assicurato dopo marzo, ovvero quando sarà finita la nave attualmente in costruzione, altrimenti il rischio, concretissimo rischio, sarà la fermata obbligatoria della produzione.
Per Giulio Troccoli, delegato Fiom Cgil della Rsu di Fincantieri, «se è vero è certamente una nota positiva, vuol dire che hanno trovato i 50 milioni, ma non risolve certamente il nostro problema che è quello del lavoro».
Una giornata intensa, carica di tensione quella di oggi, ma anche di consapevolezza: ecco ancora una volta il destino dell'economia, della produttività della città, nella capacità dei suoi lavoratori di dare una prova di coraggio e di maturità insieme. Così, nell'assemblea generale del mattino, c'è unità quando bisogna decidere cosa fare: ovvero dichiarare ancora una volta l'assemblea permanente, l'occupazione dello stabilimento, lo sciopero, il corteo che partirà verso la stazione Principe per bloccare i binari e farsi sentire, puntare alto e chiedere – con il massimo rispetto – che il Capo dello Stato per caso domani a Genova per un Symposium, si occupi di loro. Obiettivo minimo: dicendo una parola davanti alle telecamere in difesa del cantiere e a favore del lavoro che deve arrivare per scongiurare cassa integrazione e licenziamenti. Obiettivo massimo, ma senza sperarci troppo: che Napolitano riesca – grazie alla pressione di Regione, Provincia e Comune – a trovare il tempo per incontrare una delegazione.
La notizia che l'obiettivo massimo è stato raggiunto arriva quando, attraversato tutto il Ponente, bloccato il traffico, bloccati i binari, lavoratori e sindacalisti stanno meditando il da farsi dentro la stazione Principe, mentre fuori polizia e vigili urbani presidiano con la massima tranquillità la zona e i funzionari e i pochi agenti che controllano i binari sono più che discreti e attenti a non creare ulteriore tensione. Più tardi le agenzie faranno filtrare la notizia che il presidente della Regione Burlando ha riferito che non fosse stato per questioni organizzative Napolitano sarebbe andato anche in fabbrica a trovarli. Domattina, così, niente cortei. I lavoratori si presenteranno sotto la Prefettura in delegazione, non faranno blocchi in segno di rispetto e aspetteranno che il Presidente arrivi e li riceva secondo il tempo che riuscirà a trovare nell'agenda dei suoi impegni.
Qualcuno fra i più giovani, quando la notizia si diffonde, si guarda intorno impietrito. Non ha il ricordo di cosa Genova otteneva, fra gli anni Settanta/Ottanta, con gli storici scioperi della siderurgia, dei portuali, della classe operaia che scendeva “a De Ferrari” e si univa con gli studenti usciti da scuole e università quando Genova cominciava – in pieno terrorismo - il suo declino industriale, in un clima di paura e di incertezza.
Lungo la strada che da Sestri Ponente porta in centro, al mattino fra gli operai ci sono anche i rappresentanti delle istituzioni, che non hanno mai lasciato sola questa massa di gente in tuta o in jeans e felpa che rappresenta un avamposto per la città che produce. Ottocento ne sono rimasti, 300 sono in cassa integrazione, un migliaio sono quelli in bilico nelle ditte d'appalto.
Il sindaco Marta Vincenzi continua a fare la cronista utilizzando Twitter dal suo cellulare. Ai giornalisti dichiara che «come sindaco non posso che essere qui». Sul cellulare batte poche parole ogni tanto per informare quelli che la seguono grazie alla tecnologia che ormai ti consente di far conoscere i tuoi pensieri in pochi istanti: «Ancora in corteo con i lavoratori. Grazie a quelli di Ansaldo Energia che sono usciti dalla fabbrica a fianco di Fincantieri per solidarietà»; «I due cortei si sono incontrati e abbracciati a Cornigliano. Stavo li in mezzo a loro»; «Dell'Ansaldo ne conosco tanti. Di Fincantieri pochi. Gli uni sono diplomati e laureati. Gli altri operai dell'indotto, molti extracomunitari»; «Linguaggi e consapevolezza diversi. C'è molto da recuperare. Mi dice il compagno ansaldino: come noi negli anni 80»; «No. Più disperazione che picchia a casaccio. L'operaio con la moglie che spinge la carrozzina della bimba di pochi mesi mi guarda»; «Che si uniscano i cortei. Che si uniscano esperienze, memoria e solidarietà. Non c'è più tempo».
Dentro la stazione si comincia dal binario 11, il primo nell'atrio del grande tabellone dell'orario, poi con cartelli, striscioni, perfino un carrello del supermercato, ci si allarga a macchia d'olio al 12, al 13, 14, 15... Un migliaio in tutto gli operai, ai quali per strada si è aggiunta gente comune fra gli applausi dei commercianti. Si dividono in gruppi, pochi concitati accordi con i delegati sindacali poi ci si dividono gli altri binari e la sotterranea. Con una raccomandazione: passano solo i treni dei pendolari. Lavoratori e studenti devono poter tornare tornare a casa. Siamo intorno all'una e sul binario 11 ci sono sindacalisti, amministratori comunali e regionali (c'è quasi tutto il Consiglio provinciale che ha sospeso una seduta per portare la solidarietà alle maestranze in lotta), politici. Si parla, si discute, si rilasciano dichiarazioni ai giornalisti.
Piano piano, sul cartellone dell'atrio vengono visualizzati il ritardo e la soppressione dei treni. Si capisce che sulla linea Roma-Genova-Milano-Torino-Francia presto sarà il caos. Le agenzie ribattono le dichiarazioni di politici e amministratori. Dal presidente della Provincia di Genova, Alessandro Repetto, arriva l'annuncio che chiederà all'opposizione in Parlamento di «sfiduciare il ministro dell'Economia: gli impegni dei ministri sono stati continuamente smentiti da Giulio Tremonti. Il ministro è un bravo professionista, di cui ho stima, ma quando si hanno responsabilità di governo su temi che hanno forti ricadute sociali, come Fincantieri, la bravura professionale non basta, occorrono anche qualità politiche».
Il presidente del Consiglio Comunale, Giorgio Guerello, che ha seguito i manifestanti nella stazione, dice: «A questa manifestazione c'è tutta la comunità. La popolazione di Genova è con gli operai di Fincantieri, come era accaduto in passato».
Per capire che la situazione è molto calda e che la tensione è davvero alle stelle basta parlare con qualche lavoratore a caso, e si capisce come la paura serpeggi, come le storie che si intrecciano, in fondo siano tutte uguali. Mirko Carbone, invalido, impegnato alla fotostampa per lo sviluppo dei disegni, 3 mesi di cassa li ha già fatti (per 15 giorni al mese) a mille euro contro i 1.400 di salario mensile. E' sposato con una bambina e un figlio in arrivo, la sua compagna non lavora. Le sue paure? La prima è per i figli naturalmente, poi di non riuscire a pagare il mutuo della casa presa con tanta speranza e tanti sacrifici e quindi perderla. «Non sono il solo in questa situazione: siamo in tanti, e ne parliamo continuamente in fabbrica. C'è paura, una paura che ti porta grossi problemi di testa».
Riccardo Mulas, 32 anni, carpentiere, a casa da maggio per una cassa che non sa bene quando dovrebbe scadere. Anche lui parla di paura e di incertezza. E' separato, si ritiene fortunato perché ha potuto tornare a vivere con i genitori, ma il futuro lo vede nero. Se il cantiere dovesse chiudere? «Non so davvero, ci ho pensato tante volte, penso che mi iscriverà nelle liste di mobilità, ma quanti saremo? Chi mi prenderà? Potrei fare un corso e aprire un'azienda mia, diventare imprenditore. Ma ce la farei con questa crisi di mercato?».
Aldo Scopellini, operaio di una ditta d'appalto con 750 euro di salario, 37 anni di lavoro alle spalle, la sua rabbia la rivolge «al governo e a quelli che siedono in Parlamento e non fanno nulla per noi: com'è possibile che in un paese civile ci siano una sperequazione così alta fra chi riceve una pensione d'oro dopo due anni di mandato e chi si ritrova alla fame dopo una vita a spaccarsi la schiena in fabbrica?».
Per Giulio Troccoli, delegato Fiom Cgil della Rsu di Fincantieri, «se è vero è certamente una nota positiva, vuol dire che hanno trovato i 50 milioni, ma non risolve certamente il nostro problema che è quello del lavoro».
Una giornata intensa, carica di tensione quella di oggi, ma anche di consapevolezza: ecco ancora una volta il destino dell'economia, della produttività della città, nella capacità dei suoi lavoratori di dare una prova di coraggio e di maturità insieme. Così, nell'assemblea generale del mattino, c'è unità quando bisogna decidere cosa fare: ovvero dichiarare ancora una volta l'assemblea permanente, l'occupazione dello stabilimento, lo sciopero, il corteo che partirà verso la stazione Principe per bloccare i binari e farsi sentire, puntare alto e chiedere – con il massimo rispetto – che il Capo dello Stato per caso domani a Genova per un Symposium, si occupi di loro. Obiettivo minimo: dicendo una parola davanti alle telecamere in difesa del cantiere e a favore del lavoro che deve arrivare per scongiurare cassa integrazione e licenziamenti. Obiettivo massimo, ma senza sperarci troppo: che Napolitano riesca – grazie alla pressione di Regione, Provincia e Comune – a trovare il tempo per incontrare una delegazione.
La notizia che l'obiettivo massimo è stato raggiunto arriva quando, attraversato tutto il Ponente, bloccato il traffico, bloccati i binari, lavoratori e sindacalisti stanno meditando il da farsi dentro la stazione Principe, mentre fuori polizia e vigili urbani presidiano con la massima tranquillità la zona e i funzionari e i pochi agenti che controllano i binari sono più che discreti e attenti a non creare ulteriore tensione. Più tardi le agenzie faranno filtrare la notizia che il presidente della Regione Burlando ha riferito che non fosse stato per questioni organizzative Napolitano sarebbe andato anche in fabbrica a trovarli. Domattina, così, niente cortei. I lavoratori si presenteranno sotto la Prefettura in delegazione, non faranno blocchi in segno di rispetto e aspetteranno che il Presidente arrivi e li riceva secondo il tempo che riuscirà a trovare nell'agenda dei suoi impegni.
Qualcuno fra i più giovani, quando la notizia si diffonde, si guarda intorno impietrito. Non ha il ricordo di cosa Genova otteneva, fra gli anni Settanta/Ottanta, con gli storici scioperi della siderurgia, dei portuali, della classe operaia che scendeva “a De Ferrari” e si univa con gli studenti usciti da scuole e università quando Genova cominciava – in pieno terrorismo - il suo declino industriale, in un clima di paura e di incertezza.
Lungo la strada che da Sestri Ponente porta in centro, al mattino fra gli operai ci sono anche i rappresentanti delle istituzioni, che non hanno mai lasciato sola questa massa di gente in tuta o in jeans e felpa che rappresenta un avamposto per la città che produce. Ottocento ne sono rimasti, 300 sono in cassa integrazione, un migliaio sono quelli in bilico nelle ditte d'appalto.
Il sindaco Marta Vincenzi continua a fare la cronista utilizzando Twitter dal suo cellulare. Ai giornalisti dichiara che «come sindaco non posso che essere qui». Sul cellulare batte poche parole ogni tanto per informare quelli che la seguono grazie alla tecnologia che ormai ti consente di far conoscere i tuoi pensieri in pochi istanti: «Ancora in corteo con i lavoratori. Grazie a quelli di Ansaldo Energia che sono usciti dalla fabbrica a fianco di Fincantieri per solidarietà»; «I due cortei si sono incontrati e abbracciati a Cornigliano. Stavo li in mezzo a loro»; «Dell'Ansaldo ne conosco tanti. Di Fincantieri pochi. Gli uni sono diplomati e laureati. Gli altri operai dell'indotto, molti extracomunitari»; «Linguaggi e consapevolezza diversi. C'è molto da recuperare. Mi dice il compagno ansaldino: come noi negli anni 80»; «No. Più disperazione che picchia a casaccio. L'operaio con la moglie che spinge la carrozzina della bimba di pochi mesi mi guarda»; «Che si uniscano i cortei. Che si uniscano esperienze, memoria e solidarietà. Non c'è più tempo».
Dentro la stazione si comincia dal binario 11, il primo nell'atrio del grande tabellone dell'orario, poi con cartelli, striscioni, perfino un carrello del supermercato, ci si allarga a macchia d'olio al 12, al 13, 14, 15... Un migliaio in tutto gli operai, ai quali per strada si è aggiunta gente comune fra gli applausi dei commercianti. Si dividono in gruppi, pochi concitati accordi con i delegati sindacali poi ci si dividono gli altri binari e la sotterranea. Con una raccomandazione: passano solo i treni dei pendolari. Lavoratori e studenti devono poter tornare tornare a casa. Siamo intorno all'una e sul binario 11 ci sono sindacalisti, amministratori comunali e regionali (c'è quasi tutto il Consiglio provinciale che ha sospeso una seduta per portare la solidarietà alle maestranze in lotta), politici. Si parla, si discute, si rilasciano dichiarazioni ai giornalisti.
Piano piano, sul cartellone dell'atrio vengono visualizzati il ritardo e la soppressione dei treni. Si capisce che sulla linea Roma-Genova-Milano-Torino-Francia presto sarà il caos. Le agenzie ribattono le dichiarazioni di politici e amministratori. Dal presidente della Provincia di Genova, Alessandro Repetto, arriva l'annuncio che chiederà all'opposizione in Parlamento di «sfiduciare il ministro dell'Economia: gli impegni dei ministri sono stati continuamente smentiti da Giulio Tremonti. Il ministro è un bravo professionista, di cui ho stima, ma quando si hanno responsabilità di governo su temi che hanno forti ricadute sociali, come Fincantieri, la bravura professionale non basta, occorrono anche qualità politiche».
Il presidente del Consiglio Comunale, Giorgio Guerello, che ha seguito i manifestanti nella stazione, dice: «A questa manifestazione c'è tutta la comunità. La popolazione di Genova è con gli operai di Fincantieri, come era accaduto in passato».
Per capire che la situazione è molto calda e che la tensione è davvero alle stelle basta parlare con qualche lavoratore a caso, e si capisce come la paura serpeggi, come le storie che si intrecciano, in fondo siano tutte uguali. Mirko Carbone, invalido, impegnato alla fotostampa per lo sviluppo dei disegni, 3 mesi di cassa li ha già fatti (per 15 giorni al mese) a mille euro contro i 1.400 di salario mensile. E' sposato con una bambina e un figlio in arrivo, la sua compagna non lavora. Le sue paure? La prima è per i figli naturalmente, poi di non riuscire a pagare il mutuo della casa presa con tanta speranza e tanti sacrifici e quindi perderla. «Non sono il solo in questa situazione: siamo in tanti, e ne parliamo continuamente in fabbrica. C'è paura, una paura che ti porta grossi problemi di testa».
Riccardo Mulas, 32 anni, carpentiere, a casa da maggio per una cassa che non sa bene quando dovrebbe scadere. Anche lui parla di paura e di incertezza. E' separato, si ritiene fortunato perché ha potuto tornare a vivere con i genitori, ma il futuro lo vede nero. Se il cantiere dovesse chiudere? «Non so davvero, ci ho pensato tante volte, penso che mi iscriverà nelle liste di mobilità, ma quanti saremo? Chi mi prenderà? Potrei fare un corso e aprire un'azienda mia, diventare imprenditore. Ma ce la farei con questa crisi di mercato?».
Aldo Scopellini, operaio di una ditta d'appalto con 750 euro di salario, 37 anni di lavoro alle spalle, la sua rabbia la rivolge «al governo e a quelli che siedono in Parlamento e non fanno nulla per noi: com'è possibile che in un paese civile ci siano una sperequazione così alta fra chi riceve una pensione d'oro dopo due anni di mandato e chi si ritrova alla fame dopo una vita a spaccarsi la schiena in fabbrica?».