Dopo l’incontro a porte chiuse al teatro dell’opera Carlo Felice, riservato ai famigliari delle vittime definito dal Cardinale Angelo Bagnasco come momento di importante riflessione, il Vescovo di Genova, nella veglia in memoria delle vittime delle mafie, ha ricordato l’importanza di trasformare la memoria in impegno. Libera nasce per la volontà di giustizia di alcuni famigliari delle vittime, che hanno voluto continuare il percorso civile dei loro cari.
«Il cambiamento comincia da noi, quello di domani non sarà un evento ne un corteo, ma un abbraccio. Una preghiera per i morti uccisi dalle pallottole della mafia, ma anche per quelli che non hanno nome sulla tomba come Rita Atria, una ragazzina appartenente ad una famiglia mafiosa che decise, dopo l’uccisione del padre e del fratello di diventare una collaboratrice di giustizia, (non avendo commesso reati viene definita come testimone di giustizia), ripudiata dalla madre, Rita si suicidò a soli 17 anni, dopo la strage di via d’Amelio, le sue confessioni permisero di arrestare diversi mafiosi e avviare molte indagini; ma non fermarono la madre che ne distrusse la tomba».
Subito dopo queste brevi ma toccanti parole, l’Arcivescovo Metropolita di Genova, ha invitato due rappresentanti dei famigliari delle vittime, nati negli anni delle maggiori stragi mafiose (1982 e 1992), a leggere i nomi degli oltre novecento morti per mano della mafia.
«Il cambiamento comincia da noi, quello di domani non sarà un evento ne un corteo, ma un abbraccio. Una preghiera per i morti uccisi dalle pallottole della mafia, ma anche per quelli che non hanno nome sulla tomba come Rita Atria, una ragazzina appartenente ad una famiglia mafiosa che decise, dopo l’uccisione del padre e del fratello di diventare una collaboratrice di giustizia, (non avendo commesso reati viene definita come testimone di giustizia), ripudiata dalla madre, Rita si suicidò a soli 17 anni, dopo la strage di via d’Amelio, le sue confessioni permisero di arrestare diversi mafiosi e avviare molte indagini; ma non fermarono la madre che ne distrusse la tomba».
Subito dopo queste brevi ma toccanti parole, l’Arcivescovo Metropolita di Genova, ha invitato due rappresentanti dei famigliari delle vittime, nati negli anni delle maggiori stragi mafiose (1982 e 1992), a leggere i nomi degli oltre novecento morti per mano della mafia.