Un pezzo di Genova nel cuore di Roma, della capitale ferita, trafitta, umiliata, distrutta. Più di una decina di pullman organizzati da centri sociali, portuali, sindacati, carichi di giovani, lavoratori e cittadini per partecipare pacificamente alla mobilitazione europea degli indignados, sono partiti di buon mattino. A bordo clima di rabbia per la situazione di un paese che ha rubato sogni ed ottimismo alle nuove generazioni, ma anche allegria ed entusiasmo per una manifestazione che si annuncia grossa e fiera, anche se ci sono pericoli di infiltrazioni. La voce è corsa in rete, alcune segnalazioni di polizia annunciano il pericolo di black bloc provenienti dall'estero, e anche i cosiddetti “neri” nostrani non sono stati con le mani in mano. La possibilità di scontri è annunciata da tempo. I responsabili dell'ordine pubblico parlano di controlli dal cielo e di coordinamento da terra. Tutti temono che la situazione possa degenerare, ma nessuno sospetta la débacle totale, il disastro che si è visto con errori palesi nella gestione della piazza da parte di chi aveva la responsabilità di assicurarne il controllo.
E così le cronache raccontano in diretta, sui canali tv nazionali, sui siti dei maggiori quotidiani, la razionale strategia di chi ha ha operato indisturbato, facendosi scudo del corteo pacifista e beffa della polizia messa in scacco dall'inizio alla fine. Un pericolo perfino per lo stesso movimento che ha tentato di allontanarli ma nel quale tentano di infiltrarsi: se Luca Casarini dice che «questi sono un nostro problema e il movimento deve affrontarlo e con una riflessione seria e profonda senza ipocrisie, avendo chiaro che loro sono nostri nemici», qualche osservatore si spinge più in là paventando addirittura che possano diventare nuovi brigatisti occupando uno spazio "che non ha padri ideologici". Fatto sta che nella manifestazione di Roma, prima assaltano obiettivi minori in fondo a via del Corso, poi si infiltrano nel corteo e lo spaccano in due, infine ingaggiano una furibonda e vittoriosa battaglia con le forze dell'ordine in piazza San Giovanni.
La delegazione genovese - ben oltre cinquecento persone, secondo una prima stima – arriva al concentramento di piazza della Repubblica intorno alle 13, mentre il corteo si ingrossa e parte circa un'ora dopo. I ragazzi dei collettivi Autaut357 e Zapata rappresentano l'area del movimento genovese, e si sistemano dietro lo striscione con il motto dei camalli che nel Sessanta dettero il via alla rivolta contro Tambroni e contro il congresso del Msi a Genova: “a l'è meiua” (è matura). I genovesi rimangono compatti a metà corteo e lì rimane quando i black bloc lo spaccano in due dando il via alla guerriglia in San Giovanni.
In corteo c'era anche l'assessore comunale genovese alle politiche della casa Bruno Pastorino, che ha vissuto una brutta avventura, e che si è salvato dalle cariche della polizia prima scappando in un parco e poi rifugiandosi in una chiesa. Raggiunto al telefono, ecco la sua testimonianza: «Ero vicino alla testa del corteo dove c'erano il Comitato per l'acqua, il gruppo degli organizzatori che seguiva lo striscione “Popoli dell'Europa: solleviamoci!”, e subito dopo parecchie file di manifestanti fra cui io. Dietro di noi i movimenti per l'acqua pubblica, i cittadini aquilani e poi i Comitati per la Val Susa. Quando siamo arrivati in piazza San Giovanni eravamo totalmente ignari del fatto che il corteo fosse stato interrotto, spaccato a metà: eravamo insomma convinti di avere dietro tutta la folla che avevamo visto alla partenza in piazza della Repubblica, poi in via Cavour quando ci siamo avviati verso i Fori Imperiali. A San Giovanni all'improvviso ci siamo trovati soli e dopo circa mezz'ora di attesa ci siamo resi conto che il resto del corteo non arrivava, al punto che qualcuno cominciava a disperdersi, quando all'improvviso, sono cominciate ad arrivare persone alla spicciolata e poco dopo abbiamo sentito gli spari e abbiamo visto il fumo dei lacrimogeni. Quindi un'ondata di manifestanti che correva inseguita da un'autoblindo che sparava acqua da idranti. E' stato un momento di grande panico, non sapevamo cosa stesse succedendo, non si capiva cosa avevamo davanti e cosa dietro, per cui abbiamo cominciato tutti a correre per evitare la carica. In tanti abbiamo trovato scampo prima in un parco pubblico vicino alla piazza, dove c'erano diverse famiglie con bambini che giocavano sulle altalene, ma la polizia ci ha raggiunti anche lì; quindi siamo finiti in una chiesa di fronte alla basilica di San Giovanni da dove abbiamo visto che nelle strade intorno giravano autoblindo dei carabinieri, che c'era battaglia, che stava succedendo qualcosa di grosso. Appena è stato possibile ci siamo allontanati, io ho preso un pullman e sono andato via e in serata sono arrivato a Termini a recuperare la macchina per tornare indietro».
Non ha mai incontrato la delegazione geniovese attestata circa a metà corteo?
«No. Sono rimasti dietro di me. Da San Giovanni ho telefonato ad alcuni miei amici con i quali ci eravamo persi e mi avevano detto che erano in corteo. Quindi mi ero messo ad aspettarli. Poi è successo il finimondo».
Mentre a Roma la guerriglia urbana faceva fallire ma manifestazione pacifica degli indignados e portava la città al disastro e la polizia alla débacle, a Genova si svolgeva una marcia pacifica, come avveniva in centinaia di città di tutto il mondo.
Alcune migliaia di persone si sono dati appuntamento in Piazza Dante e hanno percorso in corteo il tratto fino alla Prefettura, dove dopo un breve sit-in sono andati davanti alla Banca d'Italia. Una manifestazione pacifica alla quale hanno partecipato fra gli altri Legambiente, Arci, il Popolo Viola, i Cobas.
E così le cronache raccontano in diretta, sui canali tv nazionali, sui siti dei maggiori quotidiani, la razionale strategia di chi ha ha operato indisturbato, facendosi scudo del corteo pacifista e beffa della polizia messa in scacco dall'inizio alla fine. Un pericolo perfino per lo stesso movimento che ha tentato di allontanarli ma nel quale tentano di infiltrarsi: se Luca Casarini dice che «questi sono un nostro problema e il movimento deve affrontarlo e con una riflessione seria e profonda senza ipocrisie, avendo chiaro che loro sono nostri nemici», qualche osservatore si spinge più in là paventando addirittura che possano diventare nuovi brigatisti occupando uno spazio "che non ha padri ideologici". Fatto sta che nella manifestazione di Roma, prima assaltano obiettivi minori in fondo a via del Corso, poi si infiltrano nel corteo e lo spaccano in due, infine ingaggiano una furibonda e vittoriosa battaglia con le forze dell'ordine in piazza San Giovanni.
La delegazione genovese - ben oltre cinquecento persone, secondo una prima stima – arriva al concentramento di piazza della Repubblica intorno alle 13, mentre il corteo si ingrossa e parte circa un'ora dopo. I ragazzi dei collettivi Autaut357 e Zapata rappresentano l'area del movimento genovese, e si sistemano dietro lo striscione con il motto dei camalli che nel Sessanta dettero il via alla rivolta contro Tambroni e contro il congresso del Msi a Genova: “a l'è meiua” (è matura). I genovesi rimangono compatti a metà corteo e lì rimane quando i black bloc lo spaccano in due dando il via alla guerriglia in San Giovanni.
In corteo c'era anche l'assessore comunale genovese alle politiche della casa Bruno Pastorino, che ha vissuto una brutta avventura, e che si è salvato dalle cariche della polizia prima scappando in un parco e poi rifugiandosi in una chiesa. Raggiunto al telefono, ecco la sua testimonianza: «Ero vicino alla testa del corteo dove c'erano il Comitato per l'acqua, il gruppo degli organizzatori che seguiva lo striscione “Popoli dell'Europa: solleviamoci!”, e subito dopo parecchie file di manifestanti fra cui io. Dietro di noi i movimenti per l'acqua pubblica, i cittadini aquilani e poi i Comitati per la Val Susa. Quando siamo arrivati in piazza San Giovanni eravamo totalmente ignari del fatto che il corteo fosse stato interrotto, spaccato a metà: eravamo insomma convinti di avere dietro tutta la folla che avevamo visto alla partenza in piazza della Repubblica, poi in via Cavour quando ci siamo avviati verso i Fori Imperiali. A San Giovanni all'improvviso ci siamo trovati soli e dopo circa mezz'ora di attesa ci siamo resi conto che il resto del corteo non arrivava, al punto che qualcuno cominciava a disperdersi, quando all'improvviso, sono cominciate ad arrivare persone alla spicciolata e poco dopo abbiamo sentito gli spari e abbiamo visto il fumo dei lacrimogeni. Quindi un'ondata di manifestanti che correva inseguita da un'autoblindo che sparava acqua da idranti. E' stato un momento di grande panico, non sapevamo cosa stesse succedendo, non si capiva cosa avevamo davanti e cosa dietro, per cui abbiamo cominciato tutti a correre per evitare la carica. In tanti abbiamo trovato scampo prima in un parco pubblico vicino alla piazza, dove c'erano diverse famiglie con bambini che giocavano sulle altalene, ma la polizia ci ha raggiunti anche lì; quindi siamo finiti in una chiesa di fronte alla basilica di San Giovanni da dove abbiamo visto che nelle strade intorno giravano autoblindo dei carabinieri, che c'era battaglia, che stava succedendo qualcosa di grosso. Appena è stato possibile ci siamo allontanati, io ho preso un pullman e sono andato via e in serata sono arrivato a Termini a recuperare la macchina per tornare indietro».
Non ha mai incontrato la delegazione geniovese attestata circa a metà corteo?
«No. Sono rimasti dietro di me. Da San Giovanni ho telefonato ad alcuni miei amici con i quali ci eravamo persi e mi avevano detto che erano in corteo. Quindi mi ero messo ad aspettarli. Poi è successo il finimondo».
Mentre a Roma la guerriglia urbana faceva fallire ma manifestazione pacifica degli indignados e portava la città al disastro e la polizia alla débacle, a Genova si svolgeva una marcia pacifica, come avveniva in centinaia di città di tutto il mondo.
Alcune migliaia di persone si sono dati appuntamento in Piazza Dante e hanno percorso in corteo il tratto fino alla Prefettura, dove dopo un breve sit-in sono andati davanti alla Banca d'Italia. Una manifestazione pacifica alla quale hanno partecipato fra gli altri Legambiente, Arci, il Popolo Viola, i Cobas.