Sono le 20, i genovesi reduci dalla manifestazione di Roma ci sono tutti, ri riparte in pullman verso casa. Dopo la lunga giornata di piazza, la stanchezza si fa sentire, ma rimane la voglia di parlare, discutere e capire quanto è successo durante il corteo: chi c’era, cosa è successo e perché. Gli umori sono eterogenei: «C’era tanta gente, da ogni parte del paese, il segnale è positivo - fa notare un ragazzo, arrivato comunque fino a San Giovanni – la gente è partecipe al momento storico attuale»; altri parlano di un’occasione persa per «portare un segnale chiaro e inequivocabile sotto gli occhi delle istituzioni», oppure «continuare il percorso fatto negli ultimi anni da studenti e lavoratori». Ne parliamo più diffusamente con Laura Tartarini, avvocato del Social Forum, da anni rifermento legale dei movimenti e impegnata in prima persona nel costruire un’alternativa politica e sociale, che metta la persona e i diritti prima di ogni altra cosa.
Che cosa ha visto in piazza? Che tipo di manifestazione è stata questa?
«Disorganizzata e spaventata. Il clima non era sereno fin da subito; la manifestazione era stata organizzata con un obiettivo preciso e condiviso: andare ad “assediare” i palazzi, con striscioni, corteo e magari le tende. Oggi però chi ha organizzato si è tirato indietro, forse per paura, forse per disorganizzazione. Il risultato: centinaia di migliaia di persone in piazza in balìa degli eventi, nervose, a tratti terrorizzate. Il caos in altre parole».
Ma cosa è successo?
«Bisogna chiarire che il corteo, la manifestazione, è stata organizzata e partecipata anche da organizzazioni nazionali importanti e radicate, che però non hanno saputo gestire la loro stessa gente. Non sto parlando solo degli scontri: la gente non sapeva cosa fare e dove stava andando. Il fumo in lontananza, manifestanti che continuavano il percorso, altri che correvano indietro, altri che si disperdevano, un vero delirio. Ognuno abbandonato a se stesso. A questo si deve aggiungere il grande nervosismo, che ha generato spaccature all’interno del corteo, come aggressioni immotivate a ragazzini, colpevoli solo di avere la felpa nera».
A proposito di violenze, un commento sugli scontri.
«Derivano dalla rabbia. Studenti, lavoratori, operai privati di futuro, risorse e servizi, non stanno ricevendo nessuna risposta, non solo dalle istituzioni, ma anche da chi, storicamente, dovrebbe farlo: sindacati e associazioni. A questo dobbiamo aggiungere che solo in Italia vengono istituite le “Zone Rosse”, sospendendo arbitrariamente la Costituzione in tema di libertà di ogni singolo individuo: se vivessimo in una democrazia realmente tale, non sarebbe vietato manifestare sotto il parlamento».
Il bilancio della giornata, quindi, è negativo?
«La manifestazione è stata importante, ma l’appuntamento con la Storia, così come veniva descritto dai promotori nei giorni precedenti, è stato mancato. Si voleva assediare i palazzi, invece si è finiti in una piazza lontana, ognuno con la sua rabbia e le sue motivazioni. Il rischio è che si rovini il percorso fatto fino ad oggi, che comunque è stato premiato dalla massiccia partecipazione della gente».
E domani?
«Sicuramente si dovrà aprire una fase di discussione tra i vari movimenti, e ognuno dovrà prendersi le proprie responsabilità. Rispetto a Genova 2001, dove in discussione c’erano tematiche più globali ma meno quotidiane, le motivazioni che hanno portato la gente a Roma sono radicate nel quotidiano: lavoro, casa, diritti e futuro. Questi rimangono in pericolo: i movimenti e le manifestazioni continueranno perché c’è ancora molto da fare, e le persone hanno sempre meno da perdere».
Che cosa ha visto in piazza? Che tipo di manifestazione è stata questa?
«Disorganizzata e spaventata. Il clima non era sereno fin da subito; la manifestazione era stata organizzata con un obiettivo preciso e condiviso: andare ad “assediare” i palazzi, con striscioni, corteo e magari le tende. Oggi però chi ha organizzato si è tirato indietro, forse per paura, forse per disorganizzazione. Il risultato: centinaia di migliaia di persone in piazza in balìa degli eventi, nervose, a tratti terrorizzate. Il caos in altre parole».
Ma cosa è successo?
«Bisogna chiarire che il corteo, la manifestazione, è stata organizzata e partecipata anche da organizzazioni nazionali importanti e radicate, che però non hanno saputo gestire la loro stessa gente. Non sto parlando solo degli scontri: la gente non sapeva cosa fare e dove stava andando. Il fumo in lontananza, manifestanti che continuavano il percorso, altri che correvano indietro, altri che si disperdevano, un vero delirio. Ognuno abbandonato a se stesso. A questo si deve aggiungere il grande nervosismo, che ha generato spaccature all’interno del corteo, come aggressioni immotivate a ragazzini, colpevoli solo di avere la felpa nera».
A proposito di violenze, un commento sugli scontri.
«Derivano dalla rabbia. Studenti, lavoratori, operai privati di futuro, risorse e servizi, non stanno ricevendo nessuna risposta, non solo dalle istituzioni, ma anche da chi, storicamente, dovrebbe farlo: sindacati e associazioni. A questo dobbiamo aggiungere che solo in Italia vengono istituite le “Zone Rosse”, sospendendo arbitrariamente la Costituzione in tema di libertà di ogni singolo individuo: se vivessimo in una democrazia realmente tale, non sarebbe vietato manifestare sotto il parlamento».
Il bilancio della giornata, quindi, è negativo?
«La manifestazione è stata importante, ma l’appuntamento con la Storia, così come veniva descritto dai promotori nei giorni precedenti, è stato mancato. Si voleva assediare i palazzi, invece si è finiti in una piazza lontana, ognuno con la sua rabbia e le sue motivazioni. Il rischio è che si rovini il percorso fatto fino ad oggi, che comunque è stato premiato dalla massiccia partecipazione della gente».
E domani?
«Sicuramente si dovrà aprire una fase di discussione tra i vari movimenti, e ognuno dovrà prendersi le proprie responsabilità. Rispetto a Genova 2001, dove in discussione c’erano tematiche più globali ma meno quotidiane, le motivazioni che hanno portato la gente a Roma sono radicate nel quotidiano: lavoro, casa, diritti e futuro. Questi rimangono in pericolo: i movimenti e le manifestazioni continueranno perché c’è ancora molto da fare, e le persone hanno sempre meno da perdere».