Il 20 luglio 2001, alle 17.25 Carlo Giuliani cadeva sull’asfalto, morto, colpito da un proiettile sparato da un carabiniere, durante il caos di una manifestazione finita male. Nei giorni successivi, al sangue del ragazzo, andrà ad unirsi quello versato da decine di persone picchiate, vessate e torturate prima alla Diaz e poi a Bolzaneto. Senza dimenticarsi della giustizia sommaria della strada, dove la violenza cieca guidava i manganelli sulla pelle di persone spesso inermi. Emergency parlerà di quei giorni come la più grande sospensione dei diritti dell’uomo dal dopoguerra.
Oggi Genova ricorda simbolicamente quei tragici giorni in Piazza Alimonda, uno dei luoghi più simbolicamente importanti. Il presidio, come di consueto, è iniziato nel primo pomeriggio è ha avuto il culmine con il lungo applauso scattato esattamente alle 17.25, l’ora dello sparo fatale.
Giuliano Giuliani, il padre di Carlo, dal palco, dopo aver ringraziato i presenti ha ricordato come ancora oggi quei fatti sono un monito pesante per la libertà degli individui e che la recente sentenza della Cassazione riguardo la “macelleria messicana” delle scuole Diaz «non può essere accolta con gioia, anche se bisogna riconoscere che lo Stato, nelle persone di alcuni magistrati, ha riconosciuto in parte minima gli errori fatti».
Heidi Giuliani, la madre, evidentemente commosso ma non rassegnata, ha sottolineato come invece le sentenze per la devastazione e saccheggio evidenziano la disparità e la strutturale ingiustizia del sistema: «Spaccare una vetrina vale 14 anni di carcere, mentre quasi uccidere non comporta praticamente nulla: questo è quello che ci dicono le sentenze, dopo 11 anni di attesa».
Molte le personalità presenti, da Don Gallo al sindaco Marco Doria, che, dopo aver salutato i coniugi Giuliani, parlato con Mark Cowell, il giornalista britannico ridotto in coma dai manganelli della polizia prima del blitz alla Diaz, intervistato da giornalisti ha sottolineato come «la presenza a questa manifestazione sia doverosa, in primis per solidarietà personale ai genitori di Carlo. C'e' poi un aspetto politico che voglio assolutamente sottolineare: per me - prosegue - essere qui significa anche dire 'basta' alla violenza in ogni sua forma e ribadire l'importanza del fatto che si possa discutere civilmente, senza violenza e senza morti. Sono qua anche per trasmettere questo messaggio, di Istituzioni che condannano e rifiutano con fermezza la violenza, cercando invece - conclude - di percorrere la strada del dialogo e del confronto».
Durante la giornata, oltre al collegamento via telefono con i ragazzi di Music for Peace, impegnati nella missione umanitaria a Gaza, molte sono state le parole spese sul deturpamento della targa commemorativa avvenuto nella notte tra sabato e domenica scorsi: «Un gesto – detto Giuliani – che dimostra quanto quel marmo oggi ci parla ancora, sostenendoci in una battaglia che deve ancora continuare».
Oggi Genova ricorda simbolicamente quei tragici giorni in Piazza Alimonda, uno dei luoghi più simbolicamente importanti. Il presidio, come di consueto, è iniziato nel primo pomeriggio è ha avuto il culmine con il lungo applauso scattato esattamente alle 17.25, l’ora dello sparo fatale.
Giuliano Giuliani, il padre di Carlo, dal palco, dopo aver ringraziato i presenti ha ricordato come ancora oggi quei fatti sono un monito pesante per la libertà degli individui e che la recente sentenza della Cassazione riguardo la “macelleria messicana” delle scuole Diaz «non può essere accolta con gioia, anche se bisogna riconoscere che lo Stato, nelle persone di alcuni magistrati, ha riconosciuto in parte minima gli errori fatti».
Heidi Giuliani, la madre, evidentemente commosso ma non rassegnata, ha sottolineato come invece le sentenze per la devastazione e saccheggio evidenziano la disparità e la strutturale ingiustizia del sistema: «Spaccare una vetrina vale 14 anni di carcere, mentre quasi uccidere non comporta praticamente nulla: questo è quello che ci dicono le sentenze, dopo 11 anni di attesa».
Molte le personalità presenti, da Don Gallo al sindaco Marco Doria, che, dopo aver salutato i coniugi Giuliani, parlato con Mark Cowell, il giornalista britannico ridotto in coma dai manganelli della polizia prima del blitz alla Diaz, intervistato da giornalisti ha sottolineato come «la presenza a questa manifestazione sia doverosa, in primis per solidarietà personale ai genitori di Carlo. C'e' poi un aspetto politico che voglio assolutamente sottolineare: per me - prosegue - essere qui significa anche dire 'basta' alla violenza in ogni sua forma e ribadire l'importanza del fatto che si possa discutere civilmente, senza violenza e senza morti. Sono qua anche per trasmettere questo messaggio, di Istituzioni che condannano e rifiutano con fermezza la violenza, cercando invece - conclude - di percorrere la strada del dialogo e del confronto».
Durante la giornata, oltre al collegamento via telefono con i ragazzi di Music for Peace, impegnati nella missione umanitaria a Gaza, molte sono state le parole spese sul deturpamento della targa commemorativa avvenuto nella notte tra sabato e domenica scorsi: «Un gesto – detto Giuliani – che dimostra quanto quel marmo oggi ci parla ancora, sostenendoci in una battaglia che deve ancora continuare».