Le fotografie proposte nella mostra, che si è chiusa il 28 febbraio, Gli occhi della speranza – impressioni da Haiti, erano il risultato del premio vinto da Alessio nell’ambito del format televisivo dedicato al mondo della fotografia, ideato da Samsung Electronics e YAM112003, Scattastorie NX Generation.
Questo premio ha dato l’opportunità al vincitore di partire insieme a Stefano Guindani, famoso fotografo di eventi, moda e celebrities, per un viaggio alla scoperta di Haiti per svelare, attraverso la fotografia, quanto svolto quotidianamente dall’associazione N.P.H.–Nuestros Pequenos Hermanos (organizzazione umanitaria internazionale rappresentata in Italia dalla Fondazione Francesca Rava) nell’aiutare i bambini che vivono una condizione di povertà e disagio.
“Il viaggio ad Haiti è stato per me - ha detto il fotografo - un punto di partenza, un nuovo inizio, dove ho vissuto la vera essenza dell’essere in un paese del 'quarto mondo' in cui miseria e morte si uniscono alla più alta espressione dei sentimenti e della speranza, andando al di là di ogni parola e giudizio. Documentare questo mondo, dove i bambini giocano su cumuli di detriti, le donne trasportano cibo su strade non asfaltate, la vita di tutti i giorni si svolge tra container trasformati in negozi e bancarelle di merce riciclata, ha lasciato in me una crepa, la coscienza di una differenza incolmabile che dalle mie foto vorrei trasferire a tutti coloro che visiteranno la mostra e che potranno avere maggior consapevolezza della realtà di questa popolazione”.
Un obiettivo sicuramente raggiunto, considerando gli oltre duemila visitatori a Sala Dogana che si sono calati nella realtà di Haiti grazie agli scatti di Ursida, immagini che possiamo definire coinvolgenti ed emozionanti.
“Mi è capitata questa esperienza, io faccio il fotografo di strada, mi sono dovuto confrontare con una realtà così cruda, di disperazione e disgrazia,” - ha continuato il giovane artista - . “Ho provato un’angoscia fortissima, un brutto sogno. Ho vissuto questa situazione di guerra civile, di confusioni, di esseri che muoiono per fame, malattia e altre atrocità nonostante gli aiuti inviati durante e dopo il terremoto dai paesi occidentali, sicuramente insufficienti o destinati malamente.”
La mostra è stata molto apprezzata e ha coinvolto molteplici realtà, anche del mondo della scuola, oltre a visitatori provenienti da fuori città, tutti soddisfatti dal segnale dato dalle fotografie; non è semplice infatti comunicare sofferenza e denunciare atrocità senza scendere nello sgradevole, riuscire a fissare i messaggi tramite gli sguardi di speranza delle persone.
“Ho capito che non è come ci immaginiamo quando pensiamo alle persone che muoiono di fame e di sete - ha continuato Ursida - è una sensazione bruttissima che nel mio immaginario pensavo di aver vissuto e conosciuta tramite le fotografie e le immagini di altri ma non è come viverla. Ho dovuto chiudere il mio lato emotivo, ho messo lo scudo e ho provato un’empatia quasi a sentirmi parte dei cadaveri, ho provato un brivido dentro di me, un brutto sogno, un’esperienza tosta che mi ha fatto crescere e capire cose del mondo soprattutto a 20 anni. Ad Haiti ho cercato nella confusione, qualcosa che mi appagasse che mi tranquillizzasse e che mi desse un supporto psicologico per fotografare focalizzando luoghi, volti e anche la parte piacevole di questa realtà, un qualcosa certamente tragico e brutto ma pulito e onesto: quella parte viva di Haiti che comunque emana speranza. E’ stato molto difficile gestire emozioni, angosce e stress”.
Un’esperienza che Ursida vuole portare come bagaglio di conoscenza in giro per la sua città a cui rimane molto legato e che è oggetto del suo prossimo progetto finalizzato anche a valorizzare gli aspetti unici di Genova.
“Io amo Genova, è una città dove si possono trovare molteplici aspetti, a Genova c’è tutto e possiamo trovare sembianze tipiche di altre città come Tokio, Parigi, Londra e molte altre metropoli”. Così affronta il prossimo progetto Alessio, “un filo conduttore per riuscire a documentare e realizzare immagini che possano restituire emozioni: è necessario andare e vivere nei luoghi, come hanno insegnato i grandi della fotografia, uscendo dai format che oggi vengono imposti dalla comunicazione. Per trovare nuovi punti di vista è indispensabile seguire il proprio cuore e gli occhi per dare e realizzare reportage autentici dove non ci siano dogmi o catene che sicuramente vanno studiati ma non imposti, lasciando spazio, se volete, alla poetica del fanciullino di Pascoli”.
Questo premio ha dato l’opportunità al vincitore di partire insieme a Stefano Guindani, famoso fotografo di eventi, moda e celebrities, per un viaggio alla scoperta di Haiti per svelare, attraverso la fotografia, quanto svolto quotidianamente dall’associazione N.P.H.–Nuestros Pequenos Hermanos (organizzazione umanitaria internazionale rappresentata in Italia dalla Fondazione Francesca Rava) nell’aiutare i bambini che vivono una condizione di povertà e disagio.
“Il viaggio ad Haiti è stato per me - ha detto il fotografo - un punto di partenza, un nuovo inizio, dove ho vissuto la vera essenza dell’essere in un paese del 'quarto mondo' in cui miseria e morte si uniscono alla più alta espressione dei sentimenti e della speranza, andando al di là di ogni parola e giudizio. Documentare questo mondo, dove i bambini giocano su cumuli di detriti, le donne trasportano cibo su strade non asfaltate, la vita di tutti i giorni si svolge tra container trasformati in negozi e bancarelle di merce riciclata, ha lasciato in me una crepa, la coscienza di una differenza incolmabile che dalle mie foto vorrei trasferire a tutti coloro che visiteranno la mostra e che potranno avere maggior consapevolezza della realtà di questa popolazione”.
Un obiettivo sicuramente raggiunto, considerando gli oltre duemila visitatori a Sala Dogana che si sono calati nella realtà di Haiti grazie agli scatti di Ursida, immagini che possiamo definire coinvolgenti ed emozionanti.
“Mi è capitata questa esperienza, io faccio il fotografo di strada, mi sono dovuto confrontare con una realtà così cruda, di disperazione e disgrazia,” - ha continuato il giovane artista - . “Ho provato un’angoscia fortissima, un brutto sogno. Ho vissuto questa situazione di guerra civile, di confusioni, di esseri che muoiono per fame, malattia e altre atrocità nonostante gli aiuti inviati durante e dopo il terremoto dai paesi occidentali, sicuramente insufficienti o destinati malamente.”
La mostra è stata molto apprezzata e ha coinvolto molteplici realtà, anche del mondo della scuola, oltre a visitatori provenienti da fuori città, tutti soddisfatti dal segnale dato dalle fotografie; non è semplice infatti comunicare sofferenza e denunciare atrocità senza scendere nello sgradevole, riuscire a fissare i messaggi tramite gli sguardi di speranza delle persone.
“Ho capito che non è come ci immaginiamo quando pensiamo alle persone che muoiono di fame e di sete - ha continuato Ursida - è una sensazione bruttissima che nel mio immaginario pensavo di aver vissuto e conosciuta tramite le fotografie e le immagini di altri ma non è come viverla. Ho dovuto chiudere il mio lato emotivo, ho messo lo scudo e ho provato un’empatia quasi a sentirmi parte dei cadaveri, ho provato un brivido dentro di me, un brutto sogno, un’esperienza tosta che mi ha fatto crescere e capire cose del mondo soprattutto a 20 anni. Ad Haiti ho cercato nella confusione, qualcosa che mi appagasse che mi tranquillizzasse e che mi desse un supporto psicologico per fotografare focalizzando luoghi, volti e anche la parte piacevole di questa realtà, un qualcosa certamente tragico e brutto ma pulito e onesto: quella parte viva di Haiti che comunque emana speranza. E’ stato molto difficile gestire emozioni, angosce e stress”.
Un’esperienza che Ursida vuole portare come bagaglio di conoscenza in giro per la sua città a cui rimane molto legato e che è oggetto del suo prossimo progetto finalizzato anche a valorizzare gli aspetti unici di Genova.
“Io amo Genova, è una città dove si possono trovare molteplici aspetti, a Genova c’è tutto e possiamo trovare sembianze tipiche di altre città come Tokio, Parigi, Londra e molte altre metropoli”. Così affronta il prossimo progetto Alessio, “un filo conduttore per riuscire a documentare e realizzare immagini che possano restituire emozioni: è necessario andare e vivere nei luoghi, come hanno insegnato i grandi della fotografia, uscendo dai format che oggi vengono imposti dalla comunicazione. Per trovare nuovi punti di vista è indispensabile seguire il proprio cuore e gli occhi per dare e realizzare reportage autentici dove non ci siano dogmi o catene che sicuramente vanno studiati ma non imposti, lasciando spazio, se volete, alla poetica del fanciullino di Pascoli”.