Si è snodata da Galleria Mazzini a Passo Bertora, dove ha sede la Sinagoga cittadina, la marcia silenziosa e la fiaccolata organizzata ieri sera dalla comunità di Sant'Egidio, il Circolo Primo Levi e l'Università di Genova, per ricordare il rastrellamento e la deportazione delle famiglie ebree iniziati il 3 novembre del 1943.
Le autorità presenti e la città si sono strette, a 73 anni da quel tragico evento, intorno alla comunità ebraica, vittima dell'odio che trascinò nei campi di sterminio 261 persone, di cui si salvarono solo in 13. Quest'anno, oltre agli anziani, anche tanti i migranti e i giovani hanno preso parte alla manifestazione.
"Rinnovare ogni anno in modo collettivo il ricordo della deportazione degli ebrei genovesi - ha detto l'assessora a Legalità e Diritti Elena Fiorini - significa costruire memoria e ritenere che la ferita e la violenza compiute 73 anni fa ancora ci riguardano. E’ cambiato il mondo, da allora, ma i meccanismi sono sempre gli stessi. Noi siamo sempre gli stessi. Avere storicamente vissuto l’esperienza del male e giudicarla in modo inappellabile non costituisce di per sé un antidoto a che non si ripeta. Alla violenza e all’eliminazione fisica - ha continuato Fiorini - si è giunti per il tramite di un percorso che ha determinato la sostanziale accettazione di erosione di diritti di cittadinanza e che ha determinato la trasformazione di persone in cose. E quello che è accaduto agli ebrei è stato attuato anche nei confronti di omosessuali, rom e sinti, detenuti politici. Nel riconoscimento di questo percorso diviene ancora più essenziale - ha concluso - riconnettere ricordo e racconto con noi stessi e con l’oggi, con il tema del nostro impegno e della responsabilità individuale, ancor prima che collettiva. Grazie alla Comunità di Sant’Egidio e alla Comunità ebraica per aiutarci a riflettere su questo".
"E' un momento in cui vogliamo ricordare quegli eventi del 3 novembre 1943 - sottolinea Sergio Casali, della Comunità di Sant'Egidio - quando gli ebrei genovesi sono stati deportati con un agguato nella sinagoga della nostra città, vogliamo ricordare quelle 240 persone di cui tornarono solamente in 13".
Una deportazione che fu resa possibile da un clima di profonda indifferenza, la stessa che si vede oggi, in alcune situazioni e che deve essere contrastata proprio attraverso la memoria. Un'occasione per ripensare al proprio passato ha ricordato il rabbino capo di Genova, Giuseppe Momigliano, e, da questo, costruire il futuro.
“Attraverso la giornata del 3 novembre che ricorda l'inizio della deportazione degli ebrei genovesi - spiega Momigliano - si sviluppa una riflessione sul ricordo della tragedia della Shoah. Una riflessione che diventa strumento di richiamo alla coscienza della popolazione affinché il ricordo del passato aiuti a trovare delle risposte concrete positive e costruttive per il futuro".
Le autorità presenti e la città si sono strette, a 73 anni da quel tragico evento, intorno alla comunità ebraica, vittima dell'odio che trascinò nei campi di sterminio 261 persone, di cui si salvarono solo in 13. Quest'anno, oltre agli anziani, anche tanti i migranti e i giovani hanno preso parte alla manifestazione.
"Rinnovare ogni anno in modo collettivo il ricordo della deportazione degli ebrei genovesi - ha detto l'assessora a Legalità e Diritti Elena Fiorini - significa costruire memoria e ritenere che la ferita e la violenza compiute 73 anni fa ancora ci riguardano. E’ cambiato il mondo, da allora, ma i meccanismi sono sempre gli stessi. Noi siamo sempre gli stessi. Avere storicamente vissuto l’esperienza del male e giudicarla in modo inappellabile non costituisce di per sé un antidoto a che non si ripeta. Alla violenza e all’eliminazione fisica - ha continuato Fiorini - si è giunti per il tramite di un percorso che ha determinato la sostanziale accettazione di erosione di diritti di cittadinanza e che ha determinato la trasformazione di persone in cose. E quello che è accaduto agli ebrei è stato attuato anche nei confronti di omosessuali, rom e sinti, detenuti politici. Nel riconoscimento di questo percorso diviene ancora più essenziale - ha concluso - riconnettere ricordo e racconto con noi stessi e con l’oggi, con il tema del nostro impegno e della responsabilità individuale, ancor prima che collettiva. Grazie alla Comunità di Sant’Egidio e alla Comunità ebraica per aiutarci a riflettere su questo".
"E' un momento in cui vogliamo ricordare quegli eventi del 3 novembre 1943 - sottolinea Sergio Casali, della Comunità di Sant'Egidio - quando gli ebrei genovesi sono stati deportati con un agguato nella sinagoga della nostra città, vogliamo ricordare quelle 240 persone di cui tornarono solamente in 13".
Una deportazione che fu resa possibile da un clima di profonda indifferenza, la stessa che si vede oggi, in alcune situazioni e che deve essere contrastata proprio attraverso la memoria. Un'occasione per ripensare al proprio passato ha ricordato il rabbino capo di Genova, Giuseppe Momigliano, e, da questo, costruire il futuro.
“Attraverso la giornata del 3 novembre che ricorda l'inizio della deportazione degli ebrei genovesi - spiega Momigliano - si sviluppa una riflessione sul ricordo della tragedia della Shoah. Una riflessione che diventa strumento di richiamo alla coscienza della popolazione affinché il ricordo del passato aiuti a trovare delle risposte concrete positive e costruttive per il futuro".