«Ha passato la notte tranquilla e sta bene. La ferita è pulita e presto sarà a casa». Migliorano sensibilmente le condizioni dell'amministratore delegato di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi, gambizzato ieri mattina davanti casa a Genova – in via Montello, nella zona di Staglieno - da due persone che lo aspettavano in moto, celate con casco . Lo ha detto il professor Federico Santolini, il primario di ortopedia all'ospedale San Martino che ha operato il dirigente. «Adinolfi non vuol parlare di quanto accaduto - ha detto Santolini, che di Adinolfi è amico personale - né rilascia o ha rilasciato interviste. Non parlerà di quanto è successo».
Intanto proseguono le indagini di Digos e magistratura per individuare i colpevoli. Gli investigatori acquisiranno i tabulati telefonici e il traffico sulle celle che “coprono” la zona in cui è avvenuto l'attentato compresi quelle delle persone più vicine alla vittima, per verificare se dalle chiamate fatte o ricevute possano emergere elementi utili alle indagini. Si cerca anche di capire il movente di quello che viene definito un gesto «altamente simbolico». L'unica ipotesi che viene seguita senza convizione dagli inquirenti è quella di una vendetta per motivi personali o lavorativi. Restano due le piste privilegiate: quella legata ad una matrice marxista-leninista e quella riconducibile a eco-terroristi, più vicini all'area anarchica. Ma al momento non ci sono elementi concreti che supportino queste ipotesi; nè, tantomeno, è arrivata una rivendicazione che possa in qualche modo aiutare a far luce sull'attentato.
Da quando si è appreso, in base alle testimonianze, si cerca un uomo alto circa un metro e novanta, con un taglio d’occhi particolare e con i capelli lunghi e neri. Le indagini stanno sempre di più portando verso l’ipotesi terroristica, vista soprattutto la dinamica dell’agguato, la posizione di rilevanza nel panorama industriale di Adinolfi, e l’arma usata per sparare, ovvero una pistola dell’est Europa (una “Tokarev” di fabbricazione sovietica, già utilizzata dalle nuove Br, ma anche dalla criminalità organizzata e dalla mafia albanese). Sembra scartata anche l’ipotesi della casualità nella scelta del giorno: proprio quando molte città del nostro Paese, tra cui anche Genova, erano chiamate ad esprimersi col voto per amministrazioni comunali, e organi di governo decentrati come i municipi.
Ora si attende una rivendicazione: «Non si esclude - ha detto uno degli investigatori che per anni ha combattuto le Brigate rosse e che adesso è impegnato sul questo caso - che possa arrivare entro domani. In caso contrario sarebbe un'anomalia nel modus operandi dei gruppi terroristici. Ma questo “ritardo” è fisiologico: per poter rivendicare un'azione è necessario assicurarsi che chi l'ha compiuta sia al sicuro». Secondo gli investigatori il documento «dovrà spiegare l'azione. Non è detto che si tratti di un'organizzazione già strutturata ma di una cellula che con questo attentato chiede ai brigatisti irriducibili ancora in carcere una sorta di “riconoscimento”, come è già successo con le nuove Brigate Rosse guidate da Nadia Lioce».
Intanto proseguono le indagini di Digos e magistratura per individuare i colpevoli. Gli investigatori acquisiranno i tabulati telefonici e il traffico sulle celle che “coprono” la zona in cui è avvenuto l'attentato compresi quelle delle persone più vicine alla vittima, per verificare se dalle chiamate fatte o ricevute possano emergere elementi utili alle indagini. Si cerca anche di capire il movente di quello che viene definito un gesto «altamente simbolico». L'unica ipotesi che viene seguita senza convizione dagli inquirenti è quella di una vendetta per motivi personali o lavorativi. Restano due le piste privilegiate: quella legata ad una matrice marxista-leninista e quella riconducibile a eco-terroristi, più vicini all'area anarchica. Ma al momento non ci sono elementi concreti che supportino queste ipotesi; nè, tantomeno, è arrivata una rivendicazione che possa in qualche modo aiutare a far luce sull'attentato.
Da quando si è appreso, in base alle testimonianze, si cerca un uomo alto circa un metro e novanta, con un taglio d’occhi particolare e con i capelli lunghi e neri. Le indagini stanno sempre di più portando verso l’ipotesi terroristica, vista soprattutto la dinamica dell’agguato, la posizione di rilevanza nel panorama industriale di Adinolfi, e l’arma usata per sparare, ovvero una pistola dell’est Europa (una “Tokarev” di fabbricazione sovietica, già utilizzata dalle nuove Br, ma anche dalla criminalità organizzata e dalla mafia albanese). Sembra scartata anche l’ipotesi della casualità nella scelta del giorno: proprio quando molte città del nostro Paese, tra cui anche Genova, erano chiamate ad esprimersi col voto per amministrazioni comunali, e organi di governo decentrati come i municipi.
Ora si attende una rivendicazione: «Non si esclude - ha detto uno degli investigatori che per anni ha combattuto le Brigate rosse e che adesso è impegnato sul questo caso - che possa arrivare entro domani. In caso contrario sarebbe un'anomalia nel modus operandi dei gruppi terroristici. Ma questo “ritardo” è fisiologico: per poter rivendicare un'azione è necessario assicurarsi che chi l'ha compiuta sia al sicuro». Secondo gli investigatori il documento «dovrà spiegare l'azione. Non è detto che si tratti di un'organizzazione già strutturata ma di una cellula che con questo attentato chiede ai brigatisti irriducibili ancora in carcere una sorta di “riconoscimento”, come è già successo con le nuove Brigate Rosse guidate da Nadia Lioce».