1) La cultura e la crisi. Un’alternativa secca : programmarne il ridimensionamento o affermarne una nuova centralità. Siamo ovviamente per il secondo corso dell’alternativa. Perché.
Di fronte alla crisi dell’economia di carta, la cultura ci richiama alla terra. Alle cose, agli uomini, all’intelligenza, alla creatività, al lavoro artigiano della mente, delle mani, del cuore.
Di fronte all’ insostenibilità, non solo ambientale ma anche economica e sociale, di un modello di sviluppo basato sullo spreco di territorio, di aria e di suolo, ma anche di persone e di intelligenze, la cultura ci richiama al valore di quello che dura. Che va custodito, di cui va fatta manutenzione, a cui dare valore.
Se e è vero, come dice, il CENSIS, che il Paese ha difficoltà a uscire dalla crisi perché appare schiacciato sul godimento del presente e incapace di desiderare, la cultura, la bellezza, che va preservata, progettata, valorizzata, è elemento decisivo per ricreare desiderio, che è progetto, speranza, voglia di futuro.
Per il mondo, ma anche e soprattutto per il nostro Paese. La cultura è il nostro core business (genera valore per 39,7 mld di euro pari al 2,6% del Pil, circa 1,4 mln di occupati. Se a questo valore sommiamo quello di ulteriori componenti dell’industria culturale si giunge al 4,9% del Pil. Questo valore insieme al turismo culturale, 3% del Pil, delinea uno tra i più rilevanti settori dell’economia nazionale). E’ il brand fondamentale che accompagna le nostre imprese che vanno nel mondo. La cultura è occupazione, lavoro di qualità, non solo dei luoghi in cui si conserva e si fa cultura, ma anche delle tante imprese “creative” che dal tessuto culturale trovano alimento per produrre beni e servizi. La cultura è il motore principale del nostro turismo (l’economia turistica vale circa il 10% del Pil, occupa direttamente 2,5 mln di persone e indirettamente 1 mln. Il turismo culturale rappresenta circa il 30% del mercato turistico totale). Nelle città ovviamente la percentuale è molto più alta.ma non solo. La densità culturale è il valore aggiunto irripetibile in più delle nostre coste, rispetto alla concorrenza serrata dell’offerta turistico balneare di altri Paesi del mondo.
2) I cittadini italiani queste cose sembrano saperle. E’ uno straordinario indicatore per la politica il fatto che anche in tempi di crisi- quando calano più o meno tutti i consumi- aumentino le persone che vanno a teatro, al cinema, nei musei e nei luoghi dell’arte ( + 4,90% tra il 2009 e il 2010 per la quota spesa dalle famiglie in cultura per un totale di 65,5 miliardi di euro, tra il 2009-2010. Fruizione teatrale teatro + 13,49 %, concerti di musica classica: + 5,94%, mostre e musei: +3,82%). E’ un’indicazione fondamentale, se vogliamo coniugare sviluppo e sostenibilità, promuovere nuovi stili di vita orientati al godimento dei beni comuni. I cittadini sembrano consapevoli dell’enorme pericolo che rischia il nostro Paese se al timore della recessione, dovesse aggiungersi la depressione culturale e psicologica.
Queste cose sono chiare a tutte le amministrazioni delle città e agli operatori, delle province, delle regioni d’Italia e agli operatori. Abbiamo tutti sperimentato il valore delle cultura nei percorsi che hanno ridisegnato il volto della città dopo i grandi processi di ristrutturazione industriale degli anni ’80. Abbiamo sperimentato come sia essenziale per sviluppare identità specificità, nella globalizzazione.
Abbiamo sperimentato la verità e l’attualità della ormai storica ma attualissima visione di Jacques Delors per l’Europa. Il sapere, la cultura per tenere insieme competitività e coesione sociale. Il sapere del territorio come requisito fondamentale per andare nel mondo, la cultura per far dialogare e convivere il mondo che è dentro le nostre città. Perché la cultura nelle città è anche welfare. Il teatro, la musica, l’arte sono entrate nei luoghi di cura e di pena; sono l’elemento essenziale per costruire il dialogo fra i bambini, le donne, gli uomini, di Paesi e di religioni diverse; sono lo strumento fondamentale per l’invecchiamento attivo della popolazione; contrastano l’illegalità e sono presupposto della convivenza civile e democratica. Accanto alle ricadute economiche della cultura bisognerebbe cominciare a calcolare quali sono stati, quali saranno, i costi dell’ignoranza.
E’ in nome di questa consapevolezza che le città, le Regioni, le Province d’Italia, si sono unite per contrastare lo scempio che poteva derivare dalla manovra finanziaria del luglio 2010, dai tagli previsti dalla finanziaria 2011, assieme a Federculture, all’AGIS, a tutto il mondo delle imprese e dell’associazionismo culturale, ottenendo anche importanti risultati, come il reintegro dei fondi in Finanziaria, che hanno evitato una ulteriore contrazione del miserrimo 0,2 per cento che il bilancio dello Stato mette a disposizione del MIBAC.
3) Il Ministro Galan ha ottenuto che nella manovra in corso non ci siano ulteriori tagli alla cultura, e attendiamo che dia corso all’impegno di eliminare le norme assurde e fortemente lesive delle autonomie locali e dell’autonomia gestionale delle imprese culturali contenute nella manovra del luglio 2010, ma segnaliamo al Governo, a noi stessi, a tutti, che i tagli agli Enti Locali rischiano di avere effetti ancora più dirompenti , perché la quota del loro bilancio stanziata per la cultura dagli stessi è di molto superiore a quella del Bilancio dello Stato.
Sia chiaro, non siamo a fare l’ennesima manifestazione di protesta. Siamo qui a fare proposte che mirino a un assunzione comune di responsabilità di Governo; Comuni, Regioni, Province imprese rispetto al sistema culturale del Paese, nella consapevolezza che dalla tenuta, dallo sviluppo, dalla modernizzazione di questo sistema dipende gran parte delle possibilità di sviluppo del Paese.
A costruire insieme un disegno che rimetta in moto la crescita e con essa la speranza.
Non siamo un mondo ripiegato su se stesso che si aspetta da altri la soluzione dei problemi. Qui ci sono Amministrazioni, imprese, Fondazioni che hanno saputo affrontare le difficoltà. Che hanno promosso sviluppo e occupazione anche in una situazione estremamente difficile. Che hanno prodotto esperienza di eccellenze conosciute e apprezzate a tutto il mondo. E’ a partire dal nostro “fare” che ci sentiamo in grado di avanzare proposte. Al Governo, al tessuto economico e sociale del Paese, a noi stessi.
4) AL GOVERNO che c’è, ai Governi che verranno. Alle forze politiche nazionali tutte che sembrano avere qualche difficoltà a vedere nella cultura una leva decisiva per uscire dalla crisi.
Occorrerà un impegno serio per portare il finanziamento statale a livelli europei. Ma per l’intanto sono necessari segnali a breve, anche all’interno delle compatibilità attuali,per dare seri segnali che ci si avvia in questa direzione.
I fondi per il settore culturale possono essere individuati anche attraverso una razionalizzazione di provvedimenti vigenti che destinano risorse finanziarie al settore culturale. Il DECRETO-LEGGE 6 luglio 2011, disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, istituisce il nuovo Fondo Infrastrutture ferroviarie e stradali, in sostituzione del precedente “Programma delle infrastrutture strategiche (L.443/2001”). In analogia con il passato, il Decreto prevede una riserva del 3% da destinare al settore culturale. Questi fondi, gestiti sino ad oggi attraverso la società in house del Ministero per i beni e le attività culturali – ARCUS SPA -, potrebbero essere incrementati, come originariamente previsto dalla L.443, sino al 5%, per passare da una dotazione di circa 30 milioni a 50 milioni di euro l’anno. La programmazione delle risorse potrà essere realizzata in base a specifici accordi tra Stato, Regioni ed enti locali, con i quali si potrebbe determinare congiuntamente i settori ed i criteri di ripartizione.
Un ulteriore intervento meritevole di una modifica è quello relativo all’otto per mille per la componente statale, che riserva alla cultura risorse “straordinarie” per la “conservazione di beni culturali” (restauro, valorizzazione, fruibilità di beni immobili o mobili, anche immateriali), che presentino un interesse architettonico, artistico, storico, archeologico, etnografico, scientifico, bibliografico ed archivistico. Il provvedimento andrebbe esteso, nell’oggetto, anche alla “conservazione” del teatro ed della musica colta. La gestione dell’otto per mille dovrebbe esser sottratta alla Presidenza del Consiglio, che non possiede le capacità e le competenze, per affidarla al Ministero per i beni e le attività culturali, che ne determinerà la ripartizione per settore ed i criteri di assegnazione anche in base a specifici accordi formulati ogni anno dalla Conferenza unificata Stato-Regioni-Enti locali.
Il metodo della concertazione permanente di confronto con il sistema degli enti locali deve diventare la norma per la programmazione dei fondi per la cultura. E’ in questo quadro che va visto lo stesso passaggio alla triennalità dei fondi FUS ai teatri lirici e di prosa. Sappiamo benissimo che le finanziarie possono determinare variazioni sugli impegni di spesa, anno per anno. E per anni i teatri e i musei hanno dovuto programmare le attività in condizioni di incertezza. Si sapeva che i soldi sarebbero stati meno, senza sapere di quanto. Ma sappiamo altresì che proprio i progetti volti all’efficienza e alla produttività, a ridurre i costi e ad aumentare i programmi, quelli che coinvolgono i privati in un progetto, oltre la logica di pura e semplice sponsorizzazione, hanno bisogno di impegni il più possibile certi. Da parte del Governo, dei Comuni, delle Regioni, delle Province, dei privati che partecipano al progetto. Un impegno certamente a rischio, vista la situazione economica del Paese, ma assumersi questo rischio insieme sarebbe un segnale importante della rilevanza che questo Paese dà alla cultura per la propria rinascita.
ENPALS. Lo straordinario attivo, il tesoretto dell’ENPALS, l’attivo dell’anno in corso, oltre 300 milioni di Euro, e gli attivi ancora più grandi previsti per gli anni a venire, ci dicono una cosa semplice: che il mondo dello spettacolo, quello accusato di parassitismo, di spreco, ecc. ecc. dà allo Stato più o meno quanto lo Stato investe su di lui. Il suo conto previdenziale è una posta attiva nella contabilità nazionale. Un bene, certo. Ma un bene che è frutto di una ingiustizia profonda, basata sul fatto che, coi requisiti attualmente vigenti, più della metà dei lavoratori – precari, i saltuari, gli stagionali – pagano contributi per una pensione che non prenderanno mai. I soldi dei più deboli non solo sostengono il sistema dello spettacolo, ma sono una voce positiva in un bilancio dello Stato che non riesce a far pagare le tasse che dovrebbero ai più ricchi e agli evasori.
E’ un’ingiustizia grave. Da riparare subito, in nome dell’equità che è condizione fondamentale perché il Paese ritrovi lo slancio per uscire dalla crisi.
Non chiediamo la luna. Chiediamo che parte di quei soldi, versati dalle imprese e dai lavoratori, siano l’avvio di un welfare per lo spettacolo che proponga formazione, sostegno nei periodi di intermittenza, ammortizzatori sociali e politiche attive del lavoro, per i lavoratori dello spettacolo. Siano rese disponibili per un fondo gestito dai rappresentanti dei lavoratori e dalle imprese, e a questo dedicato. Una sorta di cassa edile dello spettacolo, che è un esempio positivo da decenni operante di mutualità solidale.
5) Allo Stato chiediamo poi un impegno serio per riportare la cultura - l’arte figurativa, la musica, il teatro, il cinema- nelle scuole. Quella che c’è è dovuta al lavoro paziente e ostinato degli Enti Locali e di migliaia di insegnanti che hanno saputo gettare il cuore oltre l’ostacolo. Sempre più col fiato corto per i tagli, e per l’irrigidimento del sistema scolastico per la diminuzione degli orari e degli organici. Ma una scuola senza musica non è scuola, in nessun parte del mondo e meno che mai lo può essere in Italia. E si rischia di privare la musica “forte” del nostro Paese del pubblico di domani. Sara in Italia a novembre l’orchestra giovanile del Venezuela Simon Bolivar. Figlia di un metodo di didattica musicale e di intervento sociale del Maestro Abreu fra i bambini e i ragazzi più poveri del suo Paese e di altri Paesi non solo dell’America latina. La musica, la grande musica, si è rivelata uno straordinario fattore di contrasto alla marginalità. E si sono formate decine di orchestre di straordinario valore professionale. Anche in Italia, promosso da Federculture, sulla spinta del Maestro Claudio Abbado e di Federculture, è nato il Comitato Sistema delle Orchestre e dei Cori infantili e Giovanili, che ha già sviluppato iniziative in molte città italiane. Su questa iniziativa L’Anci e l’Upi hanno già dato la loro adesione. Chiediamo che il governo nazionale condivida e sostenga questo impegno.
6) IL PRIVATO. Nell’ultimo anno c’è stato un calo consistente delle sponsorizzazioni. Da parte delle imprese, e, tranne lodevoli eccezioni, dalle stesse fondazioni bancarie (le sponsorizzazione private verso la cultura tra 2008 e 2010 sono calate del 30%, rischiano di calare del 50% nel 2011-2012 perché non c’è programmazione adeguata). Effetto della caduta di progettualità e prospettiva, anche per norme che indeboliscono il sistema delle gestioni autonome che sono state - e devono esserlo anche per il futuro - gli ambiti nei quali si concretizza la collaborazione con i privati. Le sponsorizzazioni sono legate alla fidelizzazione.
Certo, c’è la crisi. Ma c’è anche una scarsa capacità di selezione nella destinazione delle risorse, sia da parte delle imprese che della capacità del sistema pubblico di orientarle.
In una crisi che è dovuta in gran parte alla “vista corta”, allo schiacciarsi sul presente delle attese di rendimento e di godimento, è del tutto pro ciclico, e non c’è niente di peggio quando il ciclo è negativo, concentrare risorse sull’effimero. Come sanno le imprese più attente, e come sanno i governi più lungimiranti, è tempo di riprogettare il futuro, di ricostruire prospettive, di investire sul sapere e sulla ricerca, di ridar spazio all’economia reale, che, nell’economia della conoscenza, richiede la capacità di riprendere a investire sulla redditività differita. Altrimenti ci si avvita in un ciclo perverso.
Salvaguardare, preservare, sostenere il nostro patrimonio culturale, passato e presente, i frutti della creatività del passato e la creatività del presente, è parte essenziale di questa capacità di progettare il futuro. E’ la condizione essenziale per il nostro Paese, per le mille città di questo Paese, di essere attrattivi, dei turisti e del talenti necessari a ridare fiato e speranza alla nostra economia. Adottare un luogo, un contesto, un teatro, un museo, metterci testa e risorse, è il modo più serio e più certo per valorizzare il proprio nome nel tempo, per trasformare la sponsorizzazione in un investimento con un ritorno certo, per se e per il Paese. Occorrerà trovare forme di incentivazione fiscale più serie per queste operazioni – tali perlomeno da privilegiarle su quelle pubblicitarie e orientate all’effimero ma è necessario su questo anche una svolta culturale, una seria capacità di scelta, delle imprese e nostra.
7 ) ENTI LOCALI. Alla vigilia dei bilanci. Bilanci difficili dopo le ferite della manovra finanziaria, una ferita anche costituzionale, che scaricare sugli Enti locali, il più gravoso dei pesi.
Non solo non è equa, ma rischia di frenare anche ogni possibilità di nuovo sviluppo. Perché è sul territorio che i fattori dello sviluppo si aggregano, diventano imprese, benessere, ricchezza della comunità e delle persone. Limitare drasticamente la possibilità degli Enti Locali di governare è un freno alla ripresa.
La cultura sta dal lato dell’equità e della crescita. E’ un fattore decisivo del progetto di sviluppo dei territori.
Dovremmo tenere presente, anche nel fare i nostri bilanci, l’invito della BCE, del Presidente Napolitano, di tenere insieme le ragioni del risanamento e della crescita.
Cultura non è spreco. Pensiamo alle esperienze già avviate per raggiungere il massimo di efficienza, standard elevati di qualità, mantenere il servizio anche in condizioni di ristrettezza economica. Abbiamo fatto miracoli. Basti vedere la ricchezza generata dalla aziende culturali nate per iniziativa degli enti locali negli ultimi venti anni. La realtà delle gestioni autonome genera 2 miliardi di euro di fatturato.
Nelle nostre biblioteche, nei nostri musei che tengono alta la nostra immagine internazionale. Ma è difficile continuare.
Sta andando in pensione, nello Stato, nei Comuni, nelle Sovrintendenze, nelle biblioteche, nei musei, una straordinaria generazione di operatori culturali, che si è formata sul campo, con straordinario entusiasmo e intelligenza. Inventandosi spesso il profilo della propria professionalità. E’ una grande emergenza nazionale, che nessuno nell’attuale situazione può risolvere da solo. Occorrerà affrontarlo insieme, Stato, Comuni, Regioni, Università, sistema formativo. Perché dalla capacità di riprodurre queste professionalità, anche in relazione alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie, dipende gran parte del futuro economico e della stessa tenuta democratica del nostro Paese. Perché le cultura è democrazia, e i territori sanno quale centro di diffusione di consapevolezza civile siano le biblioteche del nostro Paese.
Insisto un momento sulle biblioteche. Non c’è scelta più dolorosa di dover decidere se diminuire il servizio- quando cresce la domanda di apertura serale e festiva- o smettere di acquistare libri. Dalla recente misura che limita le possibilità di sconto delle librerie, a tutela dei piccoli verso i mega store, andrebbero esclusi gli acquisti delle biblioteche pubbliche, che rischiano un aggravio dei costi di approvvigionamento in queste condizioni assolutamente insostenibile.
Le condizioni del sistema delle biblioteche e dei musei segna anche la differenza fra le diverse aree del Paese. Alla difficile tenuta nel Nord e nel centro del Paese fa riscontro un ‘accentuarsi delle difficoltà del Mezzogiorno, che mettono in pericolo la tenuta del sistema. La associazione nazionale dei bibliotecari ha proposto la costituzione di un sistema nazionale delle biblioteche che ponga i requisiti minimi di funzionamento, verifichi la professionalità degli operatori, costruisca standard di valutazione, abbia le risorse per intervenire nelle situazioni di degrado e di marginalità. Sullo sviluppo dei sistemi bibliotecari stiamo lavorando ad un progetto unitario assieme alle Regioni e al UPI. Siamo d’accordo. Ma questo mi spinge ad una considerazione più generale, su cui concluderò il mio intervento. Noi stiamo facendo, assieme al Governo, una grande ricerca sul sistema socio assistenziale dei diversi comuni italiani. Per stabilire standard, requisiti minimi, valorizzare le pratiche migliori.
Ma la cultura non è considerata una delle prestazioni essenziali da garantire al cittadini da parte dei comuni. Nel federalismo della cultura si sono perse le tracce. E’ questo un grande tema da affrontare col Governo e col parlamento. Ma intanto in quella direzione potremmo muoverci noi, Comuni, Regioni, Province, recuperando in orizzontale la mancanza di indicazioni del vertice. Per valorizzare le migliori pratiche, per promuovere l’efficienza e la produttività nell’erogazione dei servizi- sia quelli che forniamo direttamente, sia quelle delle fondazioni e delle imprese partecipate, sia nelle modalità di erogazione dei contributi ai soggetti del privato sociale e del privato tout court- e per avere chiaro dove occorre intervenire, in una logica di federalismo solidale, là dove i requisiti minimi non sono raggiunti. Come ANCI lanciamo qui una proposta di ricerca intervento, di taglio qualitativo, e chiediamo ai soggetti presenti, prima di tutto agi altri rappresentanti delle autonomie, di associarsi a questa proposta.
8) Ho parlato essenzialmente di cultura. Dedicheremo al turismo una seria e articolata sessione di lavoro domani. Permettetemi solo alcune rapide considerazioni, e una proposta e a noi stessi. La cultura è la leva fondamentale del turismo nelle città. Per la cultura e per la sua valorizzazione, per il decoro della città, soprattutto dei luoghi di maggior attrattività, le città spendono e investono. I vantaggi si ripercuotono sull’insieme dell’economia cittadina, ma soprattutto da esse dipendono gli esercizi alberghieri e commerciali, la stessa attrattività delle crociere che nelle città fanno scalo. Occorre affrontare la questione della imposta di soggiorno, e farlo in maniera il più possibile omogenea sul territorio nazionale, onde evitare concorrenze da dumping. E’ una questione di equità- che i contributi all’attrattività della città vengano dal settore che ne trae maggior vantaggio- ed è un modo concreto per far fronte alle enormi difficoltà di questa fase. Naturalmente dovremmo impegnarci a far sì che il ricavato venga impiegato per le ragioni per cui è richiesto: mantenere e d incrementare le condizioni materiali e immateriali di attrattività delle città.
Naturalmente questo ha senso se si rimettono in piedi adeguate politiche nazionali sul turismo, su cui abbiamo proposte da presentare al Governo, che deve superare lo scarsissimo impegno di questi anni in un settore così rilevante per l’economia del Paese. Le espliciteremo domani.
Ma il Governo non c’è, né oggi, né domani. Ed è difficile che chi non c’è batta un colpo.
Di fronte alla crisi dell’economia di carta, la cultura ci richiama alla terra. Alle cose, agli uomini, all’intelligenza, alla creatività, al lavoro artigiano della mente, delle mani, del cuore.
Di fronte all’ insostenibilità, non solo ambientale ma anche economica e sociale, di un modello di sviluppo basato sullo spreco di territorio, di aria e di suolo, ma anche di persone e di intelligenze, la cultura ci richiama al valore di quello che dura. Che va custodito, di cui va fatta manutenzione, a cui dare valore.
Se e è vero, come dice, il CENSIS, che il Paese ha difficoltà a uscire dalla crisi perché appare schiacciato sul godimento del presente e incapace di desiderare, la cultura, la bellezza, che va preservata, progettata, valorizzata, è elemento decisivo per ricreare desiderio, che è progetto, speranza, voglia di futuro.
Per il mondo, ma anche e soprattutto per il nostro Paese. La cultura è il nostro core business (genera valore per 39,7 mld di euro pari al 2,6% del Pil, circa 1,4 mln di occupati. Se a questo valore sommiamo quello di ulteriori componenti dell’industria culturale si giunge al 4,9% del Pil. Questo valore insieme al turismo culturale, 3% del Pil, delinea uno tra i più rilevanti settori dell’economia nazionale). E’ il brand fondamentale che accompagna le nostre imprese che vanno nel mondo. La cultura è occupazione, lavoro di qualità, non solo dei luoghi in cui si conserva e si fa cultura, ma anche delle tante imprese “creative” che dal tessuto culturale trovano alimento per produrre beni e servizi. La cultura è il motore principale del nostro turismo (l’economia turistica vale circa il 10% del Pil, occupa direttamente 2,5 mln di persone e indirettamente 1 mln. Il turismo culturale rappresenta circa il 30% del mercato turistico totale). Nelle città ovviamente la percentuale è molto più alta.ma non solo. La densità culturale è il valore aggiunto irripetibile in più delle nostre coste, rispetto alla concorrenza serrata dell’offerta turistico balneare di altri Paesi del mondo.
2) I cittadini italiani queste cose sembrano saperle. E’ uno straordinario indicatore per la politica il fatto che anche in tempi di crisi- quando calano più o meno tutti i consumi- aumentino le persone che vanno a teatro, al cinema, nei musei e nei luoghi dell’arte ( + 4,90% tra il 2009 e il 2010 per la quota spesa dalle famiglie in cultura per un totale di 65,5 miliardi di euro, tra il 2009-2010. Fruizione teatrale teatro + 13,49 %, concerti di musica classica: + 5,94%, mostre e musei: +3,82%). E’ un’indicazione fondamentale, se vogliamo coniugare sviluppo e sostenibilità, promuovere nuovi stili di vita orientati al godimento dei beni comuni. I cittadini sembrano consapevoli dell’enorme pericolo che rischia il nostro Paese se al timore della recessione, dovesse aggiungersi la depressione culturale e psicologica.
Queste cose sono chiare a tutte le amministrazioni delle città e agli operatori, delle province, delle regioni d’Italia e agli operatori. Abbiamo tutti sperimentato il valore delle cultura nei percorsi che hanno ridisegnato il volto della città dopo i grandi processi di ristrutturazione industriale degli anni ’80. Abbiamo sperimentato come sia essenziale per sviluppare identità specificità, nella globalizzazione.
Abbiamo sperimentato la verità e l’attualità della ormai storica ma attualissima visione di Jacques Delors per l’Europa. Il sapere, la cultura per tenere insieme competitività e coesione sociale. Il sapere del territorio come requisito fondamentale per andare nel mondo, la cultura per far dialogare e convivere il mondo che è dentro le nostre città. Perché la cultura nelle città è anche welfare. Il teatro, la musica, l’arte sono entrate nei luoghi di cura e di pena; sono l’elemento essenziale per costruire il dialogo fra i bambini, le donne, gli uomini, di Paesi e di religioni diverse; sono lo strumento fondamentale per l’invecchiamento attivo della popolazione; contrastano l’illegalità e sono presupposto della convivenza civile e democratica. Accanto alle ricadute economiche della cultura bisognerebbe cominciare a calcolare quali sono stati, quali saranno, i costi dell’ignoranza.
E’ in nome di questa consapevolezza che le città, le Regioni, le Province d’Italia, si sono unite per contrastare lo scempio che poteva derivare dalla manovra finanziaria del luglio 2010, dai tagli previsti dalla finanziaria 2011, assieme a Federculture, all’AGIS, a tutto il mondo delle imprese e dell’associazionismo culturale, ottenendo anche importanti risultati, come il reintegro dei fondi in Finanziaria, che hanno evitato una ulteriore contrazione del miserrimo 0,2 per cento che il bilancio dello Stato mette a disposizione del MIBAC.
3) Il Ministro Galan ha ottenuto che nella manovra in corso non ci siano ulteriori tagli alla cultura, e attendiamo che dia corso all’impegno di eliminare le norme assurde e fortemente lesive delle autonomie locali e dell’autonomia gestionale delle imprese culturali contenute nella manovra del luglio 2010, ma segnaliamo al Governo, a noi stessi, a tutti, che i tagli agli Enti Locali rischiano di avere effetti ancora più dirompenti , perché la quota del loro bilancio stanziata per la cultura dagli stessi è di molto superiore a quella del Bilancio dello Stato.
Sia chiaro, non siamo a fare l’ennesima manifestazione di protesta. Siamo qui a fare proposte che mirino a un assunzione comune di responsabilità di Governo; Comuni, Regioni, Province imprese rispetto al sistema culturale del Paese, nella consapevolezza che dalla tenuta, dallo sviluppo, dalla modernizzazione di questo sistema dipende gran parte delle possibilità di sviluppo del Paese.
A costruire insieme un disegno che rimetta in moto la crescita e con essa la speranza.
Non siamo un mondo ripiegato su se stesso che si aspetta da altri la soluzione dei problemi. Qui ci sono Amministrazioni, imprese, Fondazioni che hanno saputo affrontare le difficoltà. Che hanno promosso sviluppo e occupazione anche in una situazione estremamente difficile. Che hanno prodotto esperienza di eccellenze conosciute e apprezzate a tutto il mondo. E’ a partire dal nostro “fare” che ci sentiamo in grado di avanzare proposte. Al Governo, al tessuto economico e sociale del Paese, a noi stessi.
4) AL GOVERNO che c’è, ai Governi che verranno. Alle forze politiche nazionali tutte che sembrano avere qualche difficoltà a vedere nella cultura una leva decisiva per uscire dalla crisi.
Occorrerà un impegno serio per portare il finanziamento statale a livelli europei. Ma per l’intanto sono necessari segnali a breve, anche all’interno delle compatibilità attuali,per dare seri segnali che ci si avvia in questa direzione.
I fondi per il settore culturale possono essere individuati anche attraverso una razionalizzazione di provvedimenti vigenti che destinano risorse finanziarie al settore culturale. Il DECRETO-LEGGE 6 luglio 2011, disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, istituisce il nuovo Fondo Infrastrutture ferroviarie e stradali, in sostituzione del precedente “Programma delle infrastrutture strategiche (L.443/2001”). In analogia con il passato, il Decreto prevede una riserva del 3% da destinare al settore culturale. Questi fondi, gestiti sino ad oggi attraverso la società in house del Ministero per i beni e le attività culturali – ARCUS SPA -, potrebbero essere incrementati, come originariamente previsto dalla L.443, sino al 5%, per passare da una dotazione di circa 30 milioni a 50 milioni di euro l’anno. La programmazione delle risorse potrà essere realizzata in base a specifici accordi tra Stato, Regioni ed enti locali, con i quali si potrebbe determinare congiuntamente i settori ed i criteri di ripartizione.
Un ulteriore intervento meritevole di una modifica è quello relativo all’otto per mille per la componente statale, che riserva alla cultura risorse “straordinarie” per la “conservazione di beni culturali” (restauro, valorizzazione, fruibilità di beni immobili o mobili, anche immateriali), che presentino un interesse architettonico, artistico, storico, archeologico, etnografico, scientifico, bibliografico ed archivistico. Il provvedimento andrebbe esteso, nell’oggetto, anche alla “conservazione” del teatro ed della musica colta. La gestione dell’otto per mille dovrebbe esser sottratta alla Presidenza del Consiglio, che non possiede le capacità e le competenze, per affidarla al Ministero per i beni e le attività culturali, che ne determinerà la ripartizione per settore ed i criteri di assegnazione anche in base a specifici accordi formulati ogni anno dalla Conferenza unificata Stato-Regioni-Enti locali.
Il metodo della concertazione permanente di confronto con il sistema degli enti locali deve diventare la norma per la programmazione dei fondi per la cultura. E’ in questo quadro che va visto lo stesso passaggio alla triennalità dei fondi FUS ai teatri lirici e di prosa. Sappiamo benissimo che le finanziarie possono determinare variazioni sugli impegni di spesa, anno per anno. E per anni i teatri e i musei hanno dovuto programmare le attività in condizioni di incertezza. Si sapeva che i soldi sarebbero stati meno, senza sapere di quanto. Ma sappiamo altresì che proprio i progetti volti all’efficienza e alla produttività, a ridurre i costi e ad aumentare i programmi, quelli che coinvolgono i privati in un progetto, oltre la logica di pura e semplice sponsorizzazione, hanno bisogno di impegni il più possibile certi. Da parte del Governo, dei Comuni, delle Regioni, delle Province, dei privati che partecipano al progetto. Un impegno certamente a rischio, vista la situazione economica del Paese, ma assumersi questo rischio insieme sarebbe un segnale importante della rilevanza che questo Paese dà alla cultura per la propria rinascita.
ENPALS. Lo straordinario attivo, il tesoretto dell’ENPALS, l’attivo dell’anno in corso, oltre 300 milioni di Euro, e gli attivi ancora più grandi previsti per gli anni a venire, ci dicono una cosa semplice: che il mondo dello spettacolo, quello accusato di parassitismo, di spreco, ecc. ecc. dà allo Stato più o meno quanto lo Stato investe su di lui. Il suo conto previdenziale è una posta attiva nella contabilità nazionale. Un bene, certo. Ma un bene che è frutto di una ingiustizia profonda, basata sul fatto che, coi requisiti attualmente vigenti, più della metà dei lavoratori – precari, i saltuari, gli stagionali – pagano contributi per una pensione che non prenderanno mai. I soldi dei più deboli non solo sostengono il sistema dello spettacolo, ma sono una voce positiva in un bilancio dello Stato che non riesce a far pagare le tasse che dovrebbero ai più ricchi e agli evasori.
E’ un’ingiustizia grave. Da riparare subito, in nome dell’equità che è condizione fondamentale perché il Paese ritrovi lo slancio per uscire dalla crisi.
Non chiediamo la luna. Chiediamo che parte di quei soldi, versati dalle imprese e dai lavoratori, siano l’avvio di un welfare per lo spettacolo che proponga formazione, sostegno nei periodi di intermittenza, ammortizzatori sociali e politiche attive del lavoro, per i lavoratori dello spettacolo. Siano rese disponibili per un fondo gestito dai rappresentanti dei lavoratori e dalle imprese, e a questo dedicato. Una sorta di cassa edile dello spettacolo, che è un esempio positivo da decenni operante di mutualità solidale.
5) Allo Stato chiediamo poi un impegno serio per riportare la cultura - l’arte figurativa, la musica, il teatro, il cinema- nelle scuole. Quella che c’è è dovuta al lavoro paziente e ostinato degli Enti Locali e di migliaia di insegnanti che hanno saputo gettare il cuore oltre l’ostacolo. Sempre più col fiato corto per i tagli, e per l’irrigidimento del sistema scolastico per la diminuzione degli orari e degli organici. Ma una scuola senza musica non è scuola, in nessun parte del mondo e meno che mai lo può essere in Italia. E si rischia di privare la musica “forte” del nostro Paese del pubblico di domani. Sara in Italia a novembre l’orchestra giovanile del Venezuela Simon Bolivar. Figlia di un metodo di didattica musicale e di intervento sociale del Maestro Abreu fra i bambini e i ragazzi più poveri del suo Paese e di altri Paesi non solo dell’America latina. La musica, la grande musica, si è rivelata uno straordinario fattore di contrasto alla marginalità. E si sono formate decine di orchestre di straordinario valore professionale. Anche in Italia, promosso da Federculture, sulla spinta del Maestro Claudio Abbado e di Federculture, è nato il Comitato Sistema delle Orchestre e dei Cori infantili e Giovanili, che ha già sviluppato iniziative in molte città italiane. Su questa iniziativa L’Anci e l’Upi hanno già dato la loro adesione. Chiediamo che il governo nazionale condivida e sostenga questo impegno.
6) IL PRIVATO. Nell’ultimo anno c’è stato un calo consistente delle sponsorizzazioni. Da parte delle imprese, e, tranne lodevoli eccezioni, dalle stesse fondazioni bancarie (le sponsorizzazione private verso la cultura tra 2008 e 2010 sono calate del 30%, rischiano di calare del 50% nel 2011-2012 perché non c’è programmazione adeguata). Effetto della caduta di progettualità e prospettiva, anche per norme che indeboliscono il sistema delle gestioni autonome che sono state - e devono esserlo anche per il futuro - gli ambiti nei quali si concretizza la collaborazione con i privati. Le sponsorizzazioni sono legate alla fidelizzazione.
Certo, c’è la crisi. Ma c’è anche una scarsa capacità di selezione nella destinazione delle risorse, sia da parte delle imprese che della capacità del sistema pubblico di orientarle.
In una crisi che è dovuta in gran parte alla “vista corta”, allo schiacciarsi sul presente delle attese di rendimento e di godimento, è del tutto pro ciclico, e non c’è niente di peggio quando il ciclo è negativo, concentrare risorse sull’effimero. Come sanno le imprese più attente, e come sanno i governi più lungimiranti, è tempo di riprogettare il futuro, di ricostruire prospettive, di investire sul sapere e sulla ricerca, di ridar spazio all’economia reale, che, nell’economia della conoscenza, richiede la capacità di riprendere a investire sulla redditività differita. Altrimenti ci si avvita in un ciclo perverso.
Salvaguardare, preservare, sostenere il nostro patrimonio culturale, passato e presente, i frutti della creatività del passato e la creatività del presente, è parte essenziale di questa capacità di progettare il futuro. E’ la condizione essenziale per il nostro Paese, per le mille città di questo Paese, di essere attrattivi, dei turisti e del talenti necessari a ridare fiato e speranza alla nostra economia. Adottare un luogo, un contesto, un teatro, un museo, metterci testa e risorse, è il modo più serio e più certo per valorizzare il proprio nome nel tempo, per trasformare la sponsorizzazione in un investimento con un ritorno certo, per se e per il Paese. Occorrerà trovare forme di incentivazione fiscale più serie per queste operazioni – tali perlomeno da privilegiarle su quelle pubblicitarie e orientate all’effimero ma è necessario su questo anche una svolta culturale, una seria capacità di scelta, delle imprese e nostra.
7 ) ENTI LOCALI. Alla vigilia dei bilanci. Bilanci difficili dopo le ferite della manovra finanziaria, una ferita anche costituzionale, che scaricare sugli Enti locali, il più gravoso dei pesi.
Non solo non è equa, ma rischia di frenare anche ogni possibilità di nuovo sviluppo. Perché è sul territorio che i fattori dello sviluppo si aggregano, diventano imprese, benessere, ricchezza della comunità e delle persone. Limitare drasticamente la possibilità degli Enti Locali di governare è un freno alla ripresa.
La cultura sta dal lato dell’equità e della crescita. E’ un fattore decisivo del progetto di sviluppo dei territori.
Dovremmo tenere presente, anche nel fare i nostri bilanci, l’invito della BCE, del Presidente Napolitano, di tenere insieme le ragioni del risanamento e della crescita.
Cultura non è spreco. Pensiamo alle esperienze già avviate per raggiungere il massimo di efficienza, standard elevati di qualità, mantenere il servizio anche in condizioni di ristrettezza economica. Abbiamo fatto miracoli. Basti vedere la ricchezza generata dalla aziende culturali nate per iniziativa degli enti locali negli ultimi venti anni. La realtà delle gestioni autonome genera 2 miliardi di euro di fatturato.
Nelle nostre biblioteche, nei nostri musei che tengono alta la nostra immagine internazionale. Ma è difficile continuare.
Sta andando in pensione, nello Stato, nei Comuni, nelle Sovrintendenze, nelle biblioteche, nei musei, una straordinaria generazione di operatori culturali, che si è formata sul campo, con straordinario entusiasmo e intelligenza. Inventandosi spesso il profilo della propria professionalità. E’ una grande emergenza nazionale, che nessuno nell’attuale situazione può risolvere da solo. Occorrerà affrontarlo insieme, Stato, Comuni, Regioni, Università, sistema formativo. Perché dalla capacità di riprodurre queste professionalità, anche in relazione alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie, dipende gran parte del futuro economico e della stessa tenuta democratica del nostro Paese. Perché le cultura è democrazia, e i territori sanno quale centro di diffusione di consapevolezza civile siano le biblioteche del nostro Paese.
Insisto un momento sulle biblioteche. Non c’è scelta più dolorosa di dover decidere se diminuire il servizio- quando cresce la domanda di apertura serale e festiva- o smettere di acquistare libri. Dalla recente misura che limita le possibilità di sconto delle librerie, a tutela dei piccoli verso i mega store, andrebbero esclusi gli acquisti delle biblioteche pubbliche, che rischiano un aggravio dei costi di approvvigionamento in queste condizioni assolutamente insostenibile.
Le condizioni del sistema delle biblioteche e dei musei segna anche la differenza fra le diverse aree del Paese. Alla difficile tenuta nel Nord e nel centro del Paese fa riscontro un ‘accentuarsi delle difficoltà del Mezzogiorno, che mettono in pericolo la tenuta del sistema. La associazione nazionale dei bibliotecari ha proposto la costituzione di un sistema nazionale delle biblioteche che ponga i requisiti minimi di funzionamento, verifichi la professionalità degli operatori, costruisca standard di valutazione, abbia le risorse per intervenire nelle situazioni di degrado e di marginalità. Sullo sviluppo dei sistemi bibliotecari stiamo lavorando ad un progetto unitario assieme alle Regioni e al UPI. Siamo d’accordo. Ma questo mi spinge ad una considerazione più generale, su cui concluderò il mio intervento. Noi stiamo facendo, assieme al Governo, una grande ricerca sul sistema socio assistenziale dei diversi comuni italiani. Per stabilire standard, requisiti minimi, valorizzare le pratiche migliori.
Ma la cultura non è considerata una delle prestazioni essenziali da garantire al cittadini da parte dei comuni. Nel federalismo della cultura si sono perse le tracce. E’ questo un grande tema da affrontare col Governo e col parlamento. Ma intanto in quella direzione potremmo muoverci noi, Comuni, Regioni, Province, recuperando in orizzontale la mancanza di indicazioni del vertice. Per valorizzare le migliori pratiche, per promuovere l’efficienza e la produttività nell’erogazione dei servizi- sia quelli che forniamo direttamente, sia quelle delle fondazioni e delle imprese partecipate, sia nelle modalità di erogazione dei contributi ai soggetti del privato sociale e del privato tout court- e per avere chiaro dove occorre intervenire, in una logica di federalismo solidale, là dove i requisiti minimi non sono raggiunti. Come ANCI lanciamo qui una proposta di ricerca intervento, di taglio qualitativo, e chiediamo ai soggetti presenti, prima di tutto agi altri rappresentanti delle autonomie, di associarsi a questa proposta.
8) Ho parlato essenzialmente di cultura. Dedicheremo al turismo una seria e articolata sessione di lavoro domani. Permettetemi solo alcune rapide considerazioni, e una proposta e a noi stessi. La cultura è la leva fondamentale del turismo nelle città. Per la cultura e per la sua valorizzazione, per il decoro della città, soprattutto dei luoghi di maggior attrattività, le città spendono e investono. I vantaggi si ripercuotono sull’insieme dell’economia cittadina, ma soprattutto da esse dipendono gli esercizi alberghieri e commerciali, la stessa attrattività delle crociere che nelle città fanno scalo. Occorre affrontare la questione della imposta di soggiorno, e farlo in maniera il più possibile omogenea sul territorio nazionale, onde evitare concorrenze da dumping. E’ una questione di equità- che i contributi all’attrattività della città vengano dal settore che ne trae maggior vantaggio- ed è un modo concreto per far fronte alle enormi difficoltà di questa fase. Naturalmente dovremmo impegnarci a far sì che il ricavato venga impiegato per le ragioni per cui è richiesto: mantenere e d incrementare le condizioni materiali e immateriali di attrattività delle città.
Naturalmente questo ha senso se si rimettono in piedi adeguate politiche nazionali sul turismo, su cui abbiamo proposte da presentare al Governo, che deve superare lo scarsissimo impegno di questi anni in un settore così rilevante per l’economia del Paese. Le espliciteremo domani.
Ma il Governo non c’è, né oggi, né domani. Ed è difficile che chi non c’è batta un colpo.