È un rovello quotidiano, da qualche anno a questa parte, per chi si occupa di servizi sociali: in condizioni di crisi, di trasferimenti sempre più scarsi dall’amministrazione centrale, come si può mantenere, o non ridurre di troppo, la qualità e la quantità delle prestazioni erogate? È possibile innovare i servizi, adeguarli alle mutate esigenze come di dovere per una pubblica amministrazione?
Nelle condizioni date, la collaborazione sembra la via maestra.
Cooperazione tra l’ente pubblico, il committente, e le organizzazioni non profit, i fornitori. Non è impossibile che si realizzi, anzi esiste già in varie forme, proprio per la natura delle parti in causa che, entrambe, non hanno fini di lucro e sono unite dallo stesso interesse: migliorare le condizioni di vita della popolazione.
Così accade che il Comune di Genova e il Forum del Terzo Settore, il tavolo permanente che favorisce la comunicazione tra l’ente pubblico e i soggetti, cooperative sociali e associazioni, che garantiscono materialmente i servizi ai cittadini che ne hanno bisogno, firmino, per mano dell’assessora Dameri e del portavoce Barcellona, un protocollo d’intesa, un rinnovato impegno a collaborare. «Con l’obiettivo – sono parole di Dameri – di orientare le risorse verso i bisogni dei cittadini in situazione di svantaggio e realizzare interventi al contempo efficienti e innovativi, capaci di sfruttare al meglio le risorse disponibili senza rinunciare alla qualità delle risposte».
L’accordo prevede: un lavoro coordinato e programmato nel tempo, con incontri periodici; la ricognizione di risorse e bisogni; la ricerca di soluzioni innovative; l’individuazione di sistemi di valutazione dell’efficacia degli interventi.
Tra i primi adempimenti: “concordare un documento tecnico che preveda le modalità partecipate del lavoro, l’elenco dei tavoli tematici, gli obiettivi e i tempi del lavoro di approfondimento e di rilettura dei bisogni”, con l’impegno di cercare di “limitare gli impatti negativi che il taglio dei trasferimenti dallo Stato centrale rischia di esercitare sui minori, gli anziani, i disabili, le famiglie e gli individui in condizione di povertà”.
Di questi tempi non è forse la prima volta, ma colpisce che in un documento sottoscritto dal Comune di Genova torni ad apparire il termine “povertà”, che d’altronde indica correttamente lo stato di molte persone.
Non che prima il fenomeno dell’indigenza non esistesse, ma appariva come una situazione non statica, migliorabile, da cui si poteva anche uscire, ed era indicata con termini più ottimistici, come “disagio socioeconomico”.
Il disagio, nella lingua italiana, è scomodità, imbarazzo, qualcosa di temporaneo. Non è più una malattia, come tuttora nell’inglese “disease”; ma anche dalle malattie si guarisce. La povertà, nella memoria dei popoli, è tutt’altra cosa.
Nelle condizioni date, la collaborazione sembra la via maestra.
Cooperazione tra l’ente pubblico, il committente, e le organizzazioni non profit, i fornitori. Non è impossibile che si realizzi, anzi esiste già in varie forme, proprio per la natura delle parti in causa che, entrambe, non hanno fini di lucro e sono unite dallo stesso interesse: migliorare le condizioni di vita della popolazione.
Così accade che il Comune di Genova e il Forum del Terzo Settore, il tavolo permanente che favorisce la comunicazione tra l’ente pubblico e i soggetti, cooperative sociali e associazioni, che garantiscono materialmente i servizi ai cittadini che ne hanno bisogno, firmino, per mano dell’assessora Dameri e del portavoce Barcellona, un protocollo d’intesa, un rinnovato impegno a collaborare. «Con l’obiettivo – sono parole di Dameri – di orientare le risorse verso i bisogni dei cittadini in situazione di svantaggio e realizzare interventi al contempo efficienti e innovativi, capaci di sfruttare al meglio le risorse disponibili senza rinunciare alla qualità delle risposte».
L’accordo prevede: un lavoro coordinato e programmato nel tempo, con incontri periodici; la ricognizione di risorse e bisogni; la ricerca di soluzioni innovative; l’individuazione di sistemi di valutazione dell’efficacia degli interventi.
Tra i primi adempimenti: “concordare un documento tecnico che preveda le modalità partecipate del lavoro, l’elenco dei tavoli tematici, gli obiettivi e i tempi del lavoro di approfondimento e di rilettura dei bisogni”, con l’impegno di cercare di “limitare gli impatti negativi che il taglio dei trasferimenti dallo Stato centrale rischia di esercitare sui minori, gli anziani, i disabili, le famiglie e gli individui in condizione di povertà”.
Di questi tempi non è forse la prima volta, ma colpisce che in un documento sottoscritto dal Comune di Genova torni ad apparire il termine “povertà”, che d’altronde indica correttamente lo stato di molte persone.
Non che prima il fenomeno dell’indigenza non esistesse, ma appariva come una situazione non statica, migliorabile, da cui si poteva anche uscire, ed era indicata con termini più ottimistici, come “disagio socioeconomico”.
Il disagio, nella lingua italiana, è scomodità, imbarazzo, qualcosa di temporaneo. Non è più una malattia, come tuttora nell’inglese “disease”; ma anche dalle malattie si guarisce. La povertà, nella memoria dei popoli, è tutt’altra cosa.