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Piazza Alimonda 11 anni dopo Il ricordo di una città ferita

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Piazza Alimonda 11 anni dopo
Il ricordo di una città ferita
Piazza Alimonda 11 anni dopo
Il ricordo di una città ferita
Come ogni anno dal 2002, Genova si ferma per raccogliersi attorno al simbolo più tragico dei fatti legati al G8 del 2001: in duemila nella piazza dove perse la vita Carlo Giuliani. Doria:«Basta violenza»
Come ogni anno dal 2002, Genova si ferma per raccogliersi attorno al simbolo più tragico dei fatti legati al G8 del 2001: in duemila nella piazza dove perse la vita Carlo Giuliani. Doria:«Basta violenza»
Il 20 luglio 2001, alle 17.25 Carlo Giuliani cadeva sull’asfalto, morto, colpito da un proiettile sparato da un carabiniere, durante il caos di una manifestazione finita male. Nei giorni successivi, al sangue del ragazzo, andrà ad unirsi quello versato da decine di persone picchiate, vessate e torturate prima alla Diaz e poi a Bolzaneto. Senza dimenticarsi della giustizia sommaria della strada, dove la violenza cieca guidava i manganelli sulla pelle di persone spesso inermi. Emergency parlerà di quei giorni come la più grande sospensione dei diritti dell’uomo dal dopoguerra.

Oggi Genova ricorda simbolicamente quei tragici giorni in Piazza Alimonda, uno dei luoghi più simbolicamente importanti. Il presidio, come di consueto, è iniziato nel primo pomeriggio è ha avuto il culmine con il lungo applauso scattato esattamente alle 17.25, l’ora dello sparo fatale.

Giuliano Giuliani, il padre di Carlo, dal palco, dopo aver ringraziato i presenti ha ricordato come ancora oggi quei fatti sono un monito pesante per la libertà degli individui e che la recente sentenza della Cassazione riguardo la “macelleria messicana” delle scuole Diaz «non può essere accolta con gioia, anche se bisogna riconoscere che lo Stato, nelle persone di alcuni magistrati, ha riconosciuto in parte minima gli errori fatti».

Heidi Giuliani, la madre, evidentemente commosso ma non rassegnata, ha sottolineato come invece le sentenze per la devastazione e saccheggio evidenziano la disparità e la strutturale ingiustizia del sistema: «Spaccare una vetrina vale 14 anni di carcere, mentre quasi uccidere non comporta praticamente nulla: questo è quello che ci dicono le sentenze, dopo 11 anni di attesa».

Molte le personalità presenti, da Don Gallo al sindaco Marco Doria, che, dopo aver salutato i coniugi Giuliani, parlato con Mark Cowell, il giornalista britannico ridotto in coma dai manganelli della polizia prima del blitz alla Diaz, intervistato da giornalisti ha sottolineato come «la presenza a questa manifestazione sia doverosa, in primis per solidarietà personale ai genitori di Carlo. C'e' poi un aspetto politico che voglio assolutamente sottolineare: per me - prosegue - essere qui significa anche dire 'basta' alla violenza in ogni sua forma e ribadire l'importanza del fatto che si possa discutere civilmente, senza violenza e senza morti. Sono qua anche per trasmettere questo messaggio, di Istituzioni che condannano e rifiutano con fermezza la violenza, cercando invece - conclude - di percorrere la strada del dialogo e del confronto».

Durante la giornata, oltre al collegamento via telefono con i ragazzi di Music for Peace, impegnati nella missione umanitaria a Gaza, molte sono state le parole spese sul deturpamento della targa commemorativa avvenuto nella notte tra sabato e domenica scorsi: «Un gesto – detto Giuliani – che dimostra quanto quel marmo oggi ci parla ancora, sostenendoci in una battaglia che deve ancora continuare».
Genova
Foto di Nicola Giordanella
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Genova ricorda Carlo GiulianiAffissa la targa per la memoria

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Genova ricorda Carlo Giuliani
Affissa la targa per la memoria
Genova ricorda Carlo Giuliani. Affissa la targa per la memoria
Oltre un migliaio di persone si è raccolto in piazza Alimonda, tra ricordi, commozione e progetti per un futuro che deve essere ancora scritto
Oltre un migliaio di persone si è raccolto in piazza Alimonda, tra ricordi, commozione e progetti per un futuro che deve essere ancora scritto
Oltre un migliaio di persone, un lunghissimo applauso e una targa affissa sull’aiuola centrale di Piazza Alimonda, che riproduce una delle scritte più famose di Genova: “Carlo Giuliani, ragazzo”, vergata di blu sull’insegna stradale. Le donne e gli uomini accorsi ieri pomeriggio in Piazza Alimonda, hanno voluto ricordare così Carlo Giuliani, il giovane ucciso a 23 anni durante gli scontri del G8 del 2001.

A salire sul palco Giuliano e Heidi, i genitori di Carlo, che hanno voluto ricordare ciò che successe: «La voglia di verità e il dolore sono gli stessi di dieci anni fa. Carlo era in piazza per difendere un diritto ed è stato ucciso» afferma Giuliani.
La giornata è stata anche l’occasione per riflettere sul paradigma ingiusto che governa il mondo: morti sul lavoro, vittime della mafia, migranti che nel silenzio muoiono in mare sono stati i protagonisti insieme a Carlo di questo pomeriggio di luglio.

Tante le presenze illustri che non sono volute mancare ieri e che hanno portato il loro omaggio a Carlo e la loro testimonianza: il comico Andrea Rivera ha coinvolto i presenti in una ballata amaramente ironica sul mondo e l’Italia di oggi. «Oggi non vorrei essere qui, vorrei poter chiamare Carlo, Stefano, Federico e tanti altri e chiedere loro di andare al mare», afferma Rivera, alludendo a quei giovani “uccisi dallo stato”, che ancora chiedono giustizia.
Sul palco anche don Andrea Gallo che, neanche quest’anno, era assente il 20 luglio in Piazza Alimonda: «è necessaria una rivoluzione culturale; non si può più permettere che la “casta” mangi sulle disgrazie delle persone». Tra la folla anche don Ciotti, presidente di Libera.
Ma in piazza anche tanta gente comune: amici, giovani da tutta Italia che dieci anni fa contestavano il G8 per le strade di Genova, ragazzini che nel 2001 erano dei bambini ma che sono cresciuti politicamente nel mito e nel ricordo di Carlo Giuliani. “Carlo vive e lotta insieme a noi” è il grido di una generazione intera.
Genova
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La penna è statapiù forte della spada

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La penna è stata
più forte della spada
La penna è stata
più forte della spada
Il Segretario dell'Associazione Ligure Giornalisti-Fnsi ricorda il ruolo della stampa durante il G8: di garanzia di una corretta informazione, di indagine e di denuncia di quanto ha scoperto, visto, pubblicato. Pagando con minacce, pestaggi, arresti. L'indimenticabile monito del Presidente Ciampi: «Tenete la schiena dritta!»
Il Segretario dell'Associazione Ligure Giornalisti-Fnsi ricorda il ruolo della stampa durante il G8: di garanzia di una corretta informazione, di indagine e di denuncia di quanto ha scoperto, visto, pubblicato. Pagando con minacce, pestaggi, arresti. L'indimenticabile monito del Presidente Ciampi: «Tenete la schiena dritta!»
La penna più forte della spada. Era stata la definizione presa a prestito per titolare la pubblicazione realizzata dall'Associazione Ligure dei Giornalisti-Fnsi sul G8 nell’autunno del 2001. Dieci anni dopo quel titolo vale ancora di più, per tutti questi anni e per come la categoria (ormai, finalmente, ex corporazione) si è mossa.

E nel suo insieme ha saputo muoversi, prima, durante e dopo il G8. Non solo per avere assistito oltre 1.300 free lance iscritti e no, all’ordine professione e per avere condiviso e aiutato, dove possibile, il ruolo di media-attivisti di molti giovani “reporter” (il cui lavoro è stato spesso usato come fonte dai media tradizionali) o per la cinquantina di giornalisti feriti, rapinati, pestati da manganelli o violenti della piazza, arrestati (fra i quali Loreno Guadagnucci e due colleghi tedeschi). Ma, soprattutto, per come si è stati, come Fnsi e Ordine professionale, nelle strade (nessuno era in distacco sindacale, si lavorava e si faceva anche tutela dei colleghi) e come si è fatta informazione.

Il caso Diaz: con Attilio Lugli presidente dell’Ordine della Liguria, dopo la notte allucinante di via Battisti, alle prime ore del mattino successivo fummo i primi a presentarci in Procura, deponendo come testimoni e portanto tre colleghi testimoni diretti del blitz nella scuola.
La vicenda Bolzaneto: è stata la costanza di Marco Preve, collega de la Repubblica di Genova, ha fare saltare, per primo, il tappo su quell’ulteriore violazione dei diritti. Non abbiamo fatto sconti a nessuno: le immagini e il dossier presentato alla Procura ha consentito di individuare alcuni manifestanti dell’area violenta (ma di black bloc, dieci anni dopo, negli atti di indagine non c’è stato uno straccio di nome) responsabili di aggressioni, rapine e lesioni nei confronti di fotogiornalisti e video operatori. I pochi rimborsi dei danni subiti ce li siamo pagati con la solidarietà della categoria (Ordine e Sindacato) e un fondo creato dalla Provincia di Genova. Anche perché molti di noi furono denunciati e perseguiti (assolti) per “diffusione di notizie false e tendenziose”.

Il sindacato ligure dei giornalisti e l’Ordine ligure nel 2002 vennero premiati con il riconoscimento di San Vincent, consegnato dall’allora Presidente della Republica, Carlo Azeglio Ciampi: lo stesso che indirizzò un messaggio chiaro per l’informazione (tenere la “schiena dritta”, sempre). Ricordo la sua stretta di mano: “Mi raccomando, mi disse, conservate sempre la vostra onestà intellettuale”.
Le motivazioni delle sentenze, le affermazioni recenti del procuratore generale Luigi Di Noto, quelle di questi giorni dell’ex presidente della Corte di Appello Vincenzo Sinagra e, soprattutto, del presidente emerito della consulta, Valerio Onida, hanno confermato che la penna è stata pù forte della spada.

I processi e le sentenze, le loro motivazioni (tutte, ivi comprese quelle sulle violenze di piazza) hanno confermato le cose scritte e anticipate dai media, indagate e documentate dai media attivisti, approfondite, verificate e certificate da anni di indagini e poi di processi.

La legalità, il rispetto delle regole, uno Stato e una Repubblica degna di queste nome e della propria storia non sono di destra, centro o sinistra. Sono di tutti noi e la libertà di stampa di tutti. Per anni ci è stato detto da capi della polizia, ministri e loro portavoce che la notte della Diaz parlarono di ferite pregresse e sugo di pomodoro sui muri della scuola, che era stata colpa di alcune mele marce. Indubbiamente è stato un bel “cesto”. Nel nostro cesto c’è stato chi, nelle diverse opinioni e culture professionali dei vari giornalismi, ha lavorato seguendo il proprio istinto, vocazione, idea. Alla fine la penna ha avuto ragione della spada anche nel nostro mondo.
Genova
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Genova non dimentica le sue feriteTre giorni di fuoco attorno alla zona rossa

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Genova non dimentica le sue ferite
Tre giorni di fuoco attorno alla zona rossa
Tre giorni di fuoco
Tutte le ferite di Genova
Il ricordo degli eventi principali a dieci anni dagli scontri che portarono alla morte di Carlo Giuliani. Dalla manifestazione dei migranti ai soprusi della Diaz e di Bolzaneto. Un flash back in compagnia dei versi di uno dei più “impegnati” cantautori italiani
Il ricordo degli eventi principali a dieci anni dagli scontri che portarono alla morte di Carlo Giuliani. Dalla manifestazione dei migranti ai soprusi della Diaz e di Bolzaneto. Un flash back in compagnia dei versi di uno dei più “impegnati” cantautori italiani
Genova non ha scordato perché è difficile dimenticare, recita Francesco Guccini in una delle più sentite odi a quelle tragiche, calde giornate di luglio 2001. Ripercorrerle significa riprendere la traccia aperta di una ferita, che nel corso di questi dieci anni è rimasta amara e indelebile, non solo nel cuore di chi vive la città tutti i giorni, ma nello spirito di chi dalla lotta di quei giorni traeva sostanza vitale per i propri sogni di cambiamento.

LA ZONA ROSSA, giovedì 19 luglio 2001. Genova chiusa da sbarre, Genova soffre come in prigione, Genova marcata a vista attende un soffio di liberazione. Sui giornali, c’è chi diffonde il fascicolo preparato dalla Questura con cui si dividono i manifestanti in gruppi di colore a seconda della loro potenziale pericolosità, e c’è chi elenca una serie infinita di azioni sovversive dal lancio di frutta con lamette di rasoio a quello di migliaia di palloncini con sangue infetto. La strategia del terrore inizia a dare i suoi frutti: le strade di Genova, spaccata in tre dalla zona rossa off-limits e quella gialla ad accessi ipercontrollati, si sono ormai svuotate di chi solitamente le popola. La città è diventata patria improvvisata di chi non vuole che l’economia mondiale sia gestita solo da un ristretto gruppo di potenti.
È la giornata della prima manifestazione: per i diritti degli extracomunitari e degli immigrati, si muovono in corteo oltre 50 mila persone. Non si registrano incidenti. 

CARLO GIULIANI, venerdì 20 luglio 2001. Genova non sa ancora niente, lenta agonizza, fuoco e rumore, ma come quella vita giovane spenta, Genova muore. Il giorno delle manifestazioni più calde, quelle che nella maggior parte dei casi hanno l’obiettivo di violare, più o meno pacificamente, i blocchi a protezione della zona rossa. Nel pomeriggio giungono le voci dei primi scontri, nei pressi della stazione Brignole: ad accendere la miccia un gruppo di violenti che provoca la reazione delle forze dell’ordine, la cui carica di risposta si riversa sulla folla inerme. L’allora presidente della Provincia di Genova, Marta Vincenzi, è tra i primi cittadini a segnalare la presenza di possibili infiltrati armati: messaggi che cadono nel vuoto, senza alcuna reazione da parte di carabinieri e polizia.
I focolai, intanto, si moltiplicano a macchia d’olio: Marassi, Manin, Forte San Giuliano, piazza Giusti. Da qui la situazione inizia a precipitare. La parabola della violenza sta rapidamente raggiungendo il suo apice. La goccia che fa traboccare l’oceano è il blocco del corteo delle Tute Bianche in via Tolemaide, da parte delle forze dell’ordine, intorno alle 15. Dopo le cariche e gli scontri, Genova non è più la stessa. Due ore dopo, nella vicina piazza Alimonda, circa una settantina di carabinieri viene respinta dai manifestanti che, in seguito alla cariche precedenti, si erano visti precludere qualsiasi via di fuga. Durante la ritirata, una Land Rover del reparto mobile resta bloccata esponendosi all’assalto di una quindicina di persone che si erano lanciate all’inseguimento. Tra queste, un giovane ventitreenne genovese che raccoglie un estintore appena lanciato, da altri, contro il camioncino… Si rompe il tempo e l'attimo, per un istante, resta sospeso, poi l'assurdo video ritorna acceso; marionette si muovono, cercando alibi per quelle vite dissipate e disperse nell'aspro odore della cordite… Lo sparo con cui il carabiniere Mario Placanica gli toglie la vita riecheggia ancora oggi nel ricordo di molti, insieme alle immagini del mezzo in fuga che investe due volte il corpo ferito. Il ragazzo si chiamava Carlo Giuliani. 

DIAZ E BOLZANETO, sabato 21 luglio 2001. Genova, quella giornata di luglio, d'un caldo torrido d'Africa nera. Sfera di sole a piombo, rombo di gente, tesa atmosfera. Nera o blu l'uniforme, precisi gli ordini, sudore e rabbia; facce e scudi da Opliti, l'odio di dentro come una scabbia. Una notte non può certo cambiare le cose: già dalle prime ore si capisce che si assisterà allo stesso film iniziato il giorno prima. Gli organizzatori parlano addirittura di 300 mila persone in corteo, con i pacifisti costretti nuovamente ad arrendersi agli scontri tra gli infiltrati violenti e le Forze dell’ordine.
In serata il blitz alle scuole Diaz, punto di ritrovo del Genoa Social Forum, e Pascoli, dove dormivano molti giornalisti stranieri accreditati. Tutti gli occupanti vengono arrestati e la maggior parte picchiata selvaggiamente con il pretesto di una perquisizione per una sospetta presenza di simpatizzanti Black block. Le immagini che arriveranno dagli edifici mostrano una violenza inaudita. La versione ufficiale della Questura di Genova, in una conferenza stampa senza la possibilità per i giornalisti di porre alcuna domanda, fu che molte delle ferite e delle contusioni lamentate dai manifestanti sarebbero state pregresse. Tutti gli arrestati vennero poi rilasciati: con il tempo le accuse mosse decaddero e le analisi dei magistrati iniziarono a concentrarsi sugli abusi di polizia e carabinieri.
Ma la pagina più nera doveva ancora consumarsi. O meglio, doveva ancora venire a galla. Solo con i primi rilasci, la settimana successiva, arriveranno le forti accuse contro le Forze dell’ordine per le inumane violenze compiute nella caserma di Bolzaneto, al di là di ogni rispetto dei più basilari diritti umani. Un insieme di violenze fisiche e psicologiche che neanche dieci anni di processi sono riusciti ad affievolire.

QUEL CHE RIMANE, domenica 22 luglio 2001. Poi tutto ricomincia come ogni giorno e chi ha la ragione, dico nobili uomini, danno implacabile giustificazione, come ci fosse un modo, uno soltanto, per riportare una vita troncata, tutta una vita da immaginare. Genova non ha scordato perché è difficile dimenticare. Da qui, iniziano dieci anni di storia italiana ed europea in cui chi ha subito condanne civili e penali è stato poi “premiato” sul campo con promozioni e carriere sfolgoranti, e chi porta ancora addosso i segni di quei soprusi non ha mai trovato piena giustizia. Resta, amara e indelebile, la traccia aperta di una ferita. 

* I versi in corsivo riprendono liberamente il testo della canzone Piazza Alimonda scritta da Francesco Guccini
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